06 marzo 2007

I migliori libri della mia vita.

[Aggiornamenti]:
            • Ho sostituito l'immagine a sinistra perché il proprietario mi ha piantato un casino che non finiva più. Per pudore, risparmio il link al suo blog.
            • Ho inserito altri titoli nella lista. Adesso ho la certezza che non scriverò mai TUTTE le recensioni.
L'inizio di questo post è quanto meno presuntuoso. A 32 anni e con una cultura medio bassa, ci vuole una bella faccia tosta a parlare dei libri di una vita o, peggio ancora, di una selezione di essi. Ringraziando il cielo non ho le carte in regola per fare il critico letterario o più semplicemente per disquisire di scrittura (che è una porzione della letteratura): guadagnerei ancora meno del mio già magro stipendio.

La realtà è molto più semplice. Vorrei tenere traccia e memorizzare le mie riflessioni su quei libri, soprattutto narrativa, ma anche saggistica e in misura minore poesia, che hanno avuto un ruolo nel formarmi come lettore. C'è il rischio di banalizzare l'intento e finire con un becero Quali sono i dieci libri che mi porterei su un'isola deserta? Posso evitarlo, se ce la metto tutta.

Libri, si diceva. Libri che mi hanno fatto bene e che sono finiti troppo presto o al punto giusto o come desideravo. Guarda che è una gran fortuna, quando va così.
Perché si dovrebbe scrivere un post a parte su tutti quei libri che, per la loro manifesta bruttezza o per la loro irrecuperabile inutilità, non avrei mai voluto leggere. Una vera perdita di tempo.

Ma torniamo a quelli buoni. Adesso, il compito più difficile. Abbozzare l'elenco dei libri e - ma qui siamo nella fantascienza - scrivere un post per ogni libro.

Sto divagando. Ho qualche incertezza.
Per qualche strano motivo mi stanno venendo in mente i libri inutili prima di quelli memorabili. Alcuni libri sono divenuti inutili nel tempo, ovvero mentre acquisivo consapevolezza dello scrivere e del leggere. Penso, ad esempio, a molte cose di Kerouac. Letto diciamo tra la terza e la quinta liceo, Kerouac mi sembrava illuminante. Ma già allora stavo mentendo a me stesso. Mentre avanzavo con fatica (avevo molto tempo) tra le pagine de I vagabondi del Dharma o La città e la metropoli, mi rendevo conto che quei testi non sarebbero stati per me, adolescente nato e cresciuto in Italia, un'occasione di arricchimento cognitivo e morale. Era l'America degli anni 50, e vivaddio c'era il vecchio Jack a raccontarcela, ma non avevo riferimenti nel mio vissuto quotidiano tali da potermi immedesimare nei personaggi e vivere la storia da dentro. Sulla strada, sì: mi fece sognare, mi commosse, mi mise addosso la voglia di viaggiare per il gusto di farlo. Ecco, Sulla strada sarà uno dei titoli. Troppo scontato? Può darsi.

Ecco, ho divagato ancora. Ho parlato non troppo bene di Kerouac che se mi sente la Pivano si infuria. Dovevo scrivere dei libri edificanti per il mio spirito e ho cominciato con le critiche.
La tentazione di mettere in mezzo Coelho e il suo imbarazzante campionario da piazzista della religione, è forte. Ma me ne guardo bene.

E allora, dopo molte, troppe divagazioni, forse riesco ad arrivare all'elenco dei titoli.
Rullo di tamburi.
L'ultima premessa, lo giuro, ma è necessaria. Anzi, sembrerebbero due:
  1. Nell'elencare i titoli non seguirò alcun ordine, né alfabetico né cronologico né affettivo. Casuale.
  2. Quando e se ci riuscirò, dei libri non scriverò sinossi o critiche intelligenti o approfondimenti sui personaggi, ma solo quello che mi ricordo.

I migliori libri della mia vita (fino a qui).
Seguono aggiornamenti.

Il simbolo *, bontà mia, è un link all'opera (fonti varie). Editore, ISBN e altre menate ve le cercate voi.
  • Harper Lee, Il buio oltre la siepe (1960) *
  • Ian McEwan, Il giardino di cemento (1978) *
  • John O'Brien, Via da Las Vegas (1990) *
  • Josephine Hart, Il danno (1999) *
  • Chaim Potok, La scelta di Reuven (1987) *
  • Jay McInerney, Le mille luci di New York (1984) *
  • Heinrich Böll, Opinioni di un clown (1963) *
  • Michel Houellebecq, Piattaforma (2003) *
  • Gunter Grass, Il tamburo di latta (1959) *
  • Kary Mullis, Ballando nudi nei campi della mente (2000) *
  • Jack Kerouac, Sulla strada (1951) *
  • Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo (1866) *
  • Joe R. Lansdale, Maneggiare con cura (2004) *
  • Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte, (1932) *
  • Charles Bukowski, Compagno di sbronze (1967) *
  • Jerome K. Jerome, Tre uomini in barca (1889) *
  • Pierpaolo Pasolini, Ragazzi di vita (1955) *
  • Lyman Frank Baum, Il mago di Oz (1900) * *
  • Beppe Fenoglio, La malora (1954) *
  • Woody Allen, Saperla lunga (1971) *
E' un elenco soddisfacente ed esaustivo? Nemmeno per idea. Eppure è troppo lungo, e sono quasi sicuro che non riuscirò a scrivere altrettanti articoli.

E ora come lo chiudo, questo post?

05 marzo 2007

Blogger: content filtering aggirato.

Tempo fa l'azienda in cui lavoro ha deciso che il sito Blogger.com non doveva essere raggiunto dalle postazioni di lavoro. Regola randomica e tutto sommato sciocca, perché le altre piattaforme di blog sono accessibili (Wordpress, Splinder). Fatto sta che non si poteva.
Questa mattina, per puro caso, ho lanciato Picasa che giceva inutilizzato tra i miei programmi. Ho cliccato su BlogThis e, magia!, la pagina di Blogger.com è accessibile come finestra di Picasa per la pubblicazione di foto su blog.
Fatta la legge, trovato l'inganno.

27 febbraio 2007

La macchina dell'uomo ragno.

Questa mattina mentre guidavo per andare in ufficio, osservavo un ragno che stava tessendo indisturbato una tela sul cruscotto della mia vecchia Ford.
Si calava da una parte all'altra della strumentazione, confondendosi con la lancetta del carburante. Quando decideva di essere sceso abbastanza, si arrampicava rapido ed iniziava da un altro punto. Aveva il ventre gonfio, credo che dovesse deporre le uova.
Così ho pensato: "Se ora mi pizzica, magari mi trasformo nell'Uomo Ragno e salvo il mondo dal suo crudele destino."
Invece l'aracnide ha continuato imperterrito a tessere la sua tela e a ispezionare la mia automobile.
Mentre parcheggiavo, si stava divertendo sul reset del contachilometri, come un criceto sulla ruota, ma un po' più piccolo.
Non ho salverò il mondo dal suo crudele destino. E probabilmente non l'avrei fatto nemmeno con i superpoteri. Mi sarei accontentato di cambiare canale lanciando una ragnatela contro il televisore.

23 febbraio 2007

La fiaba della rana e del luccio.

In un piccolo stagno viveva un luccio grande e forte, fiero della propria destrezza e delle lunghe file di denti aguzzi con cui cacciava le sue prede. Nuotava veloce tra le alghe e si sentiva invincibile, il vero padrone dello stagno: il luccio ormai ne conosceva ogni più piccola pietra e ogni minuscolo organismo.

Quando passava, nuotando flessuoso e imponente, tutti gli abitanti dello stagno abbassavano lo sguardo e gli davano strada, col timore di finire divorati tra le sue fauci. Il luccio lo sapeva, e si divertiva a minacciare questo e quello: "Scànsati, o ti mangio in un sol boccone!", ringhiava al mollusco, e quello tremava ossequioso.

Le cose andavano bene: c'era da mangiare a sufficienza, la pioggia alimentava lo stagno e il sole intiepidiva l'acqua.

In quello stagno viveva anche una rana, una semplice rana verde, con occhi grandi e umili. Se ne stava in disparte, cibandosi di zanzare e altri insetti, che avvinghiava con la lingua o nuotando silenziosamente. Sapeva di non essere né bella né forte né veloce.

Il luccio si divertiva a spaventarla e a prenderla in giro. Le passava accanto gonfiando il petto e le diceva: "Qui non c'è posto per te! Guarda come sei debole e insignificante, e guarda me, invece: quando nuoto i raggi del sole si riflettono sul mio mantello d'argento, e tutti gli abitanti mi temono. Quindi stai attenta se non vuoi diventare la mia cena!"

La rana non diceva nulla e continuava a starsene in disparte, accontendandosi di un po' d'acqua e di qualche insetto.

Venne un'estate calda e secca. Il cielo era sempre azzurro e non pioveva mai. Lentamente, l'acqua dello stagno comincio a prosciugarsi e il luccio, spaventato per le conseguenze, divenne sempre più crudele e aggressivo. Tutti speravano nella pioggia, e invece il sole splendeva alto nel cielo.

In capo a poche settimane, lo stagno si prosciugò ed il luccio, un tempo padrone incontrastato, forte e fiero, si trovò a boccheggiare sul fondo ormai asciutto, muovendo penosamente le pinne e la coda. Provò ad inveire contro la rana, ma le forze lo abbandonarono, e morì.

La rana guardò lo stagno asciutto, fece un balzo, poi un altro e un altro ancora, e a poca distanza trovò un altro stagno, dove l'acqua era fresca e gli insetti abbondanti.

22 febbraio 2007

(silenzio).

E figuriamoci se in questo turbinio di parole avrei aggiunto pure le mie.
Quelle che ci sono bastano e avanzano.

16 febbraio 2007

E non succede nulla, se non l'assenza.

C'è un significato simbolico nell'arsura di questo inverno. Le strade e i marciapiedi e le auto coperti di polvere sembrano dire polvere eri e polvere ritornerai.

Respiro male, e sto dimagrendo. Nessuna crescita.

Vorrei poter scrivere che stanno succedendo molte cose, e che non riesco a capirle o a gestirle. E invece è solo una lunga attesa, che non passa mai e non porta niente, come i turni di guardia in caserma.

Si aspetta l'alba per riniziare la stessa giornata: prendere ordini, pulire, mangiare, dormire. Non un nemico da combattere, non un colpo da sparare.

Sto passando le mie giornate ad erigere difese e scavare trincee per combattere solo contro me stesso. Lo faccio di nascosto, perché nella mia vita ho maschere, doveri e ruoli: c'è un lavoro che va fatto, ci sono persone da salutare. Per ora il meccanismo funziona.
Polvere eri e polvere ritornerai.
Magari più tardi, grazie. Ho ancora gambe forti e quel briciolo di gratitudine verso la vita che mi fa pensare che poteva andare peggio, molto peggio.

Ad esempio, incontrare il fesso che dice se non succede nulla dipende da te e dalle tue azioni, la tua vita è nelle tue mani. Grazie al cielo, vado in macchina, e parlo di rado con la gente.

13 febbraio 2007

Il fratello del figliuol prodigo.

Era ancora giorno che finalmente la terra ha avuto la pioggia. La polvere per qualche ora cederà il posto a piccole pozze di fango. Le erbacce cresceranno forti tra il catrame, i kleenex e i muri delle fabbriche. Poi tornerà la terra secca, la polvere.

Io faccio fatica. Lo sto pensando spesso. Speravo di uscire sotto uno scroscio d'acqua, e invece le strade si stavano asciugando.
Avrei voluto un po' di acqua sulla mia testa.
Acqua sporca.
Fatica. Sì.

Tutti ne fanno, di fatica, e il giorno è duro per tutti, come mi ricordava tempo fa un tale a cui ho alleviato centinaia di giorni, e dato riposo la notte. Ma d'altronde, chi non sopporta l'ingratitudine non faccia del bene. Dovrei tacere. Ma detesto gli ingrati.

E il giorno era ancora più duro allora, quando mio padre e mia madre scappavano sulle colline, lontano dai bombardieri tedeschi.
Ma certo, è sempre stata dura. E' sempre stata più dura. Eppure.
Eppure me se sto chino, ogni sacrosanto giorno, a lavorare la terra - metaforicamente, sia detto - e a contare le ore che separano il sonno dalla veglia, e la veglia dal sonno. Me ne sto qui, esule, straniero, nemico. Non so più qual è la mia casa, la mia famiglia.

E' finito un altro giorno. Mi chiedo cosa mi rimane. Poco. Un pensiero, nemmeno bello: che a lavorare la terra in silenzio ci si guadagna, tutt'al più, il dolore alla schiena.

(Gwen Raverat, The prodigal son)

12 febbraio 2007

Ho sempre viaggiato solo, con fatica.

Non piove e non c'è vento, e la polvere rimane a terra. Ad ogni ruota che corre sull'asfalto in viaggio verso chissà dove, la polvere si alza, volteggia, si posa sui rifiuti e sulle erbacce, e ricade a terra. Come morta.

I miei giorni e le mie notti si susseguono con rapidità, tutti molto uguali, e mi lasciano poche, sconsolanti certezze. Io credo che arrivi un punto nella vita in cui si crea un baratro insuperabile tra il proprio presente e il proprio passato. E mentre fino a qualche tempo fa era facile saltare dall'uno all'altro e rivivere, anche se per poche ore, la mia vita (quasi) spensierata di figlio, di studente o di soldato, oggi (metafora temporale: diciamo da qualche tempo) questo salto non è più possibile, e la mia vecchia vita la posso vedere solo da lontano, come dal finestrino di un treno che si allontana.

Così si acquisiscono poche, dolorose consapevolezze: ho impiegato gli ultimi dieci anni per persuadermi che la vita è un viaggio che si intraprende soli o, meno frequentemente, in cattiva compagnia. In nessun caso e per nessun motivo posso sperare di contare su qualcuno, al di fuori di me stesso. Io, nella vita mia e in quella degli altri, sono un viaggiatore solitario, con il mio bagaglio leggero, e la testa bassa. Ho sempre viaggiato solo, con fatica.

Ieri notte, domenica notte. Si alza un po' di foschia sulle mie finestre. Le mie misere cose perdono i loro miseri contorni. Tanto meglio, penso.

Girandomi da fianco a fianco, ho due soli desideri da esprimere: riuscire a far sgorgare una lacrima da questi miei occhi aperti nell'oscurità, e che questo giorno, questo terribile giorno abbia fine.

La sorte, buona o cattiva che sia, mi nega il primo: è destino che da questo mio cuore di pietra non si cavi una goccia di sangue.

Il tempo segue il corso naturale, e si porta via queste ultime, scellerate ore che mi separano da un'altra alba, esaudendo il mio piccolo, povero, secondo desiderio.

09 febbraio 2007

DRM sì, no, forse. (Ma per ora sì).

In questi ultimi giorni il web si è animato (succede ciclicamente) con un bel dibattito sulla protezione dei contenuti digitali, in particolare sul DRM per brani musicali.
Il bello è che gli animatori non sono i soliti oscuri geek, o qualche pasionario del tutto libero-tutto subito, ma i veri grandi della digital era.
Inizia le danze, e lo si è letto ovunque, Mr. Jobs che dice Cari amici, vorrei tanto non mettere il DRM nelle canzoni che comprate su iTunes, ma le major mi obbligano a farlo.
E le major - c'era da aspettarselo - non se ne sono state zitte né si sono cosparse il capo di cenere ammettendo che sì, in effetti, col DRM hanno un po' esagerato. Macché: gli hanno tirato le orecchie, a Mr. Jobs.
Poi ha alzato la mano un signore che di MP3 ne sa qualcosina, visto che è tra i sui inventori, per dire che un po' di DRM servirebbe, magari in forma più aperta e flessibile come propongono i ragazzi di Creative Commons, e non solo come appannaggio delle major.
Dulcis in fundo - almeno per ora - il fondatore di MP3.com Mr. Robertson è intervenuto per dire la sua contro Apple: il signor Jobs si lamenta del DRM imposto dalle major? E che allora inizia lui ad aprire iPod e iTunes.
Non fa una piega.
E mentre l'ala oltranzista, non meno caustica, conserva intatte le proprie idee, nascono nuove iniziative per regolamentare senza incatenare le informazioni digitali.
Who's next?