La mia storica esposizione sulla big internet – online con un sito web da dieci anni, iscritto a newsgroup e forum – porta sovente i suoi frutti, taluni marci, altri acerbi, di rado gustosi. Incurante della privacy, anche il mio cellulare personale è facilmente reperibile in rete. No, non ve lo scrivo qua. Cercatevelo.
Uno di questi, non infrequente, è il contatto con persone (o cose) provenienti dall'oltretomba della mia memoria, dai viali più nascosti del mio passato.
Altro che Facebook. Piersantelli.it è il vero social network.
Prendi ieri ad esempio. Ambo. No, dico: ambo. Mica roba da ridere. Ma andiamo per ordine.
Riscoperte piacevoli.
Come spesso accade, gente a me ignota oppure nota ma persa di vista mi trova online grazie ai miei scritti: chi cerca di musica, chi di chitarre, chi di foto, chi di libri. Le solite cose del mio blog. E' attraverso il mio blog che ho ricevuto un messaggio del nipote del giornalista Nino Vascon o dell'autrice di Uno bianca, trame nere, ma anche di quella studentessa che, bontà sua, mi ha citato nella sua tesi di laurea. Sic.
Ieri mi scrive Fabrizia, una deliziosa ragazzina (beh, allora era una ragazzina, adesso ci avrà – che so? - diciamo trent'anni) di Brescia, conosciuta al mare, frequentata in amicizia un'estate e poi per scritto. Con carta e penna, come mi ricordava. Stava googlando notizie sul libro di Flamini (a proposito: chissà se l'autore ha letto la recensione) e ha trovato me. Curioso, no?
Lei dice di ricordarmi con un sorriso. Altrettanto, cara Fabrizia, anche se mi par strano perché io son sempre stato un gran musone, più incline al grugno che al sorriso. Tant'è. Sarà stata la spensieratezza dei 17 anni, l'estate. Bentornata.
Torna dov'eri, ovvero: Va' a lavorare, barbone
Mentre preparavo la valigia per la ormai consueta trasferta veneziana, mi arriva un SMS sul cellulare privato. Uno di una lunga serie di lunghissimi SMS. Il tale, che mi pare subito uno squilibrato o comunque non propriamente in bolla, si firma Robo (termine corretto nel suo caso, il maschile di roba, cose...) e attacca a scrivere in versi – sì, in versi in un messaggio, e andando pure a capo – della sua recente permanenza a Torino, della nostra vecchia amicizia, della sua caparbietà, dell'attaccamento alle persone nonostante le tante bastonate prese. Insomma un sacco di fregnacce.
Si firma pure “tuo fratello maggiore”. Al che gli spiego che i miei unici fratelli erano nel 157 Reggimento di fanteria (Leoni di Liguria, pluridecorato, sciolto e poi ricostituito) e che dubitavo fortemente che ne avesse fatto parte.
Dapprima ho avuto qualche dubbio sulla sua identità; ma dopo i primi SMS ho avuto ben chiaro chi fosse questo curioso e sfaccendato personaggio che a mezzanotte mi scriveva camminando da non so quale lungomare. Trattasi di un elemento che, anno del Signore 1999, frequentai per via del vizio comune di scrivere.
Oddio, scrivere: lui, questo lo ricordo perfettamente, metteva in fila delle parole e le chiamava racconti, talvolta andava a capo e le chiamava poesie. Aveva fatto le scuole dai preti, eh, non + che fosse proprio all'oscuro di sintassi, grammatica e ortografia. Ma era così pieno di sé che se avesse ricopiato l'elenco telefonico di Campobasso si sarebbe chiesto perché mai tardassero a nominarlo per il Pulitzer.
Ricordo che dal punto di vista sessuale era, diciamo, più vicino ai Village People che a George Clooney, e nonostante ciò – da qui si vede che era proprio un amico leale – ci aveva provato pesantemente con la mia fidanzata o ragazza di allora.
Vada come vada. La notte scorre e la giostra continua a girare. Nel senso che io rispondo picche e spengo il telefono e lui manda centinaia di parole alla rinfusa che terminano con: “Non sono venuto per giudicare, io sono tuo fratello, io sono tuo amico, io sono come un cane che preso a bastonate ama la mano che lo percuote e mostra la giugulare”.
E da qui in poi la situazione degenera. Ma seriamente. Come vede che lo ignoro e cerco di scrollarmelo di dosso, iniziano a volare giudizi pesantissimi sulla mia persona, sulla mia vita e le mie scelte, insulti, accuse, insomma, ci mancano le minacce del tipo "mi suicido per colpa tua, cattivone".
A posto. Maledetta legge 180. Questo sta messo male. Credo che con un delirio di onnipotenza e un paio di quelle poesie, la mutua le passi gratis, le medicine. A Robbe', sei fortunato: io l'aspirina la pago.
Conclusione. Vabbe' che molto de mio passato è una fogna, ma perché è la merda a tornare sempre a galla?
PS. Se stai leggendo questo post, ecco un avviso per te e solo per te, caro "Robo". Mandami ancora un cazzo di SMS e ti denuncio per atti persecutori.
02 settembre 2008
25 agosto 2008
In moto a Col del Lys e Valli di Lanzo.
Per la rubrica Motori&Sapori, ecco a voi il resoconto di un bellissimo, facile e breve tour motociclistico alla scoperta di un paesaggio incantevole e dei migliori prodotti gastronomici del Piemonte.
Il tour consiste, come si evince dalle mappe, nel raggiungere il Colle del Lys (1304 slm) partendo da Avigliana, scollinare verso Viù e da lì rientrare a Torino passando da Lanzo e Venaria.
Visualizzazione ingrandita della mappa
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La strada che da Almese porta fino al Col del Lys è davvero piacevole, tanto da indurre un'andatura lenta e meditativa per consentire di ammirare il paesaggio: si guida attraverso boschi fitti, immersi in un profumo di muschio e funghi; a bordo strada spessi strati di felci creano un tappeto naturale.
L'asfalto è quasi sempre buono, in molti tratti è stato steso di recente; curve e tornanti abbondano ma la strada è stretta e non priva di insidie, come la corriere che fa servizio nei paesi e nelle frazioni, che consigliano uno stile di guida rilassato.
Sul piazzale del colle le attrazioni sono due: la vista dei monti intorno e la vendita di formaggi: sabato è stata la volta di una saporitissima e genuina toma stagionata di Lanzo, prodotta localmente con latte di mucche allevate in valle.
Il percorso prosegue verso Viù, piccolo e grazioso centro montano dove la bella chiesa barocca è attualmente in ristrutturazione. Da provare senz'altro il salame di Turgia, fatto con carni fresche bovine, e il lardo alle erbe.
Molto divertente il tratto di strada da Viù a Lanzo, con curve veloci e ampie e un paio di entusiasmanti chicane.
La V-Strom, come sempre, si è comportata egregiamente in tutte le situazioni, mostrando il suo DNA da enduro sull'asfalto rovinato e nello stretto.
Scheda del percorso:
Lunghezza: 130 km (da Settimo e ritorno)
Tipo di strada: asfalto
Difficoltà: semplice
Dislviello: 1000 metri circa
Il tour consiste, come si evince dalle mappe, nel raggiungere il Colle del Lys (1304 slm) partendo da Avigliana, scollinare verso Viù e da lì rientrare a Torino passando da Lanzo e Venaria.
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La strada che da Almese porta fino al Col del Lys è davvero piacevole, tanto da indurre un'andatura lenta e meditativa per consentire di ammirare il paesaggio: si guida attraverso boschi fitti, immersi in un profumo di muschio e funghi; a bordo strada spessi strati di felci creano un tappeto naturale.
L'asfalto è quasi sempre buono, in molti tratti è stato steso di recente; curve e tornanti abbondano ma la strada è stretta e non priva di insidie, come la corriere che fa servizio nei paesi e nelle frazioni, che consigliano uno stile di guida rilassato.
Sul piazzale del colle le attrazioni sono due: la vista dei monti intorno e la vendita di formaggi: sabato è stata la volta di una saporitissima e genuina toma stagionata di Lanzo, prodotta localmente con latte di mucche allevate in valle.
Il percorso prosegue verso Viù, piccolo e grazioso centro montano dove la bella chiesa barocca è attualmente in ristrutturazione. Da provare senz'altro il salame di Turgia, fatto con carni fresche bovine, e il lardo alle erbe.
Molto divertente il tratto di strada da Viù a Lanzo, con curve veloci e ampie e un paio di entusiasmanti chicane.
La V-Strom, come sempre, si è comportata egregiamente in tutte le situazioni, mostrando il suo DNA da enduro sull'asfalto rovinato e nello stretto.
Scheda del percorso:
Lunghezza: 130 km (da Settimo e ritorno)
Tipo di strada: asfalto
Difficoltà: semplice
Dislviello: 1000 metri circa
24 agosto 2008
Suitcase, una canzone per andare e per tornare.
Dalla prossima settimana, salvo contrordini, inizieranno le mie trasferte a Venezia. Sto affrontando il conto alla rovescia sospeso tra l'entusiasmo e la malinconia. Complice, forse, la solitudine di questi giorni.
Quando le cose stanno così, non c'è altro rimedio che prendere la chitarra e suonare. Potete giurarci.
Ho dedicato un paio d'ore di questa domenica a registrare un semplice brano. Spero che, sotto la crosta degli errori, si senta anche il mio cuore che batte.
I vostri commenti mi aiuteranno a migliorare. Grazie e buon ascolto.
Clicca sull'icona per scaricare Suitcase.
Per gli amanti dei dettagli tecnici.
Le tracce sono state registrate con il fido Audacity. Chitarre: Ibanez EW acustica senza effetti, collegata direttamente alla scheda audio E-MU 0202, e Epiphone Les Paul Custom, collegata al Line6 Pocket Pod (patches: Less insane per i bicordi e Twangy drive per i solo). La base è stata creata con un sequencer Yamaha.
23 agosto 2008
Fulvio Martini, Nome in codice: Ulisse.
Acquistai e lessi questo libro anni fa, diciamo nel 2001, incuriosito dalla sinossi in quarta copertina e attirato dalla biografia dell'autore, sebbene mi infastidisse il titolo emerito, ma in bella evidenza, di Ammiraglio. Paura di non essere riconosciuto tra gli scaffali?
Già dall'introduzione di Andreotti - una confuso intervento apologetico - e dalle primissime pagine del testo, la delusione aveva preso il posto dell'iniziale entusiasmo. Ne ebbi conferma durante la lettura di questo noioso, autoreferenziale ed inutile amarcord. Perché, si sa, ci sono poche cose tediose quanto le memorie (parziali e incomplete) di un pensionato che scrive di sé e del proprio glorioso (si fa per dire) passato.
Dal punto di vista storiografico, documentale e scientifico, questo volume non ha alcun valore in quanto non contestualizza (se non con espressioni da bar del tipo al tempo c'erano i russi e gli americani) le vicende narrate né propone una esposizione organica degli equilibri politico-militari che fanno sfondo alle missioni di cui è stato protagonista. Ma, sopratutto, non fa menzione alcuna a ruoli, responsabilità e coinvolgimenti nell'organizzazione della struttura clandestina stay-behind (Gladio), attività per la quale Martini insieme ad altri ufficiali è stato imputato, processato ed ovviamente assolto (ci mancherebbe altro).
Non è quindi un libro utile né tantomeno scritto bene ma lo inserisco nel mio percorso Trame occulte a puro riferimento bibliografico.
Già dall'introduzione di Andreotti - una confuso intervento apologetico - e dalle primissime pagine del testo, la delusione aveva preso il posto dell'iniziale entusiasmo. Ne ebbi conferma durante la lettura di questo noioso, autoreferenziale ed inutile amarcord. Perché, si sa, ci sono poche cose tediose quanto le memorie (parziali e incomplete) di un pensionato che scrive di sé e del proprio glorioso (si fa per dire) passato.
Dal punto di vista storiografico, documentale e scientifico, questo volume non ha alcun valore in quanto non contestualizza (se non con espressioni da bar del tipo al tempo c'erano i russi e gli americani) le vicende narrate né propone una esposizione organica degli equilibri politico-militari che fanno sfondo alle missioni di cui è stato protagonista. Ma, sopratutto, non fa menzione alcuna a ruoli, responsabilità e coinvolgimenti nell'organizzazione della struttura clandestina stay-behind (Gladio), attività per la quale Martini insieme ad altri ufficiali è stato imputato, processato ed ovviamente assolto (ci mancherebbe altro).
Non è quindi un libro utile né tantomeno scritto bene ma lo inserisco nel mio percorso Trame occulte a puro riferimento bibliografico.
22 agosto 2008
Camillo Arcuri, Colpo di Stato.
Arcuri ha aspettato trent'anni per vuotare il sacco. Ha dovuto tenersi dentro a lungo un segreto grosso così, di quei segreti per i quali non è difficile lasciarci le penne per il gran numero di nomi, interessi ed equilibri.
Con Colpo di stato, l'autore può finalmente liberarsi di un peso. Perché la notizia, giuntagli 30 anni fa in forma confidenziale, era di quelle esplosive: qualcuno stava per organizzare un'azione volta a mutare profondamente gli equilibri istituzionali del Paese. In parole povere: un colpo di stato.
Ed è il golpe dell'Immacolata o del principe nero o golpe Borghese di cui Arcuri viene a conoscenza, un'azione militare voluta e guidata da Junio Valerio Borghese, il comandante della a X flottiglia MAS della Repubblica sociale, un manipolo di irriducibili fascisti assoldati con il denaro della grande industria e spalleggiati da eminenze grige ben radicate negli ambienti della massoneria deviata, dell'esercito, dei servizi.
Arcuri ricostruisce la genesi del golpe, ne descrive l'organizzazione, la messa in opera fino al misterioso contrordine per il quale nessuno, in quella piovosa notte romana, si rese conto che stava per essere sovvertito l'ordine istituzionale, democratico, repubblicano. Sullo sfondo altri misteri che si intrecciano nella storia italiana: la P2, il SID parallelo, i poteri forti dell'alleanza atlantica, i delicati equilibri medio orientali e del commercio del petrolio durante l'Italia del boom economico. Interessanti e pertinenti le riflessioni sulla morte di De Mattei.
Colpo di stato è un libro interessante e ben documentato, scritto tuttavia con uno stile poco accattivante e monotono. E' una lettura breve, ideale per chi vuole farsi un'idea dei segreti di pulcinella della prima repubblica.
Camillo Arcuri è anche autore di Sragione di stato, di cui scriverò a breve.
20 agosto 2008
Gianni Flamini, L'Italia dei colpi di stato.
Ho appena terminato questa appassionante e impegnativa lettura che affronta il tema, sconosciuto ai più, specialmente tra i giovani, dei tentativi di sovversione delle istituzioni democratiche nel nostro Paese.
Considero questo libro un capolavoro straordinario ed un documento indispensabile nello scaffale di un cittadino. Vediamo perché.
Gianni Flamini, giornalista, scrittore, già autore di un saggio sulla banda della Magliana, ha tre grandi pregi che raramente si riscontrano contemporaneamente:
- primo, è un ricercatore scrupoloso e obiettivo: quando si tratta di tirare le orecchie a burattinai e burattini, soldati di ventura e ideologi sanguinari, non fa distinzioni tra destra, sinistra, centro e vile pecunia;
- secondo, con onestà e coraggio snocciola un elenco impressionante di nomi e cognomi, luoghi, dettagli, testimonianze, episodi, azioni e trascorsi che mettono con le spalle al muro almeno tre generazioni di galantuomini che, dagli anni 60, si sono impegnati anima e corpo a dare all'Italia un'impronta quantomeno di presidenzialismo forte se non addirittura di autoritarismo;
- terzo, Flamini scrive dannatamente bene: ha un humour sprezzante e sarcastico, una prosa eloquente, uno stile giornalistico che appassiona e coinvolge come un romanzo. Non passa pagina senza una battuta salace, una metafora colorita, un commento pungente.
Flamini è un esperto di trame occulte davvero della prima ora: in pochi hanno scritto di un colpo di stato nel 1971, pochi mesi dopo che questo fosse messo in atto. In pochi ne scrivono tuttora, come se non ci fosse nulla di particolarmente preoccupante nell'aver nutrito per quarant'anni un nido di serpi sempre pronte a girare la testa e mordere la mano. Onore al merito.
Con L'Italia dei colpi di stato, l'autore ripercorre le tre grandi stagioni eversive della storia repubblicana, dal piano solo di De Lorenzo al golpe bianco di Edgardo Sogno. E siccome l'Italia è un Paese tremendamente complicato, Flamini svolge con successo il non facile compito di ricostruire le oscure vicende e gli intrighi più loschi che hanno avuto per protagonisti varie eminenze grigie, molti di casa nostra e alcuni provenienti da oltreoceano, senza trascurare le fratellanze -- più o meno segrete -- sempre a caccia di proseliti tra militari, barbe finte, industriali danarosi e politici non proprio incorruttibili.
Si conclude questa magnifica lettura con un senso di sgomento per l'impunità riservata a tanti e tali criminali, e di vergogna profonda per questa sorte di anestesia generale che sembra scorrere nelle vene degli italiani, inerti e indifferenti di fronte al pericolo reale di trovarsi, una mattina, dalla padella di una democrazia bloccata, corrotta e inefficiente, alla brace di un regime neofascista, plutocratico, militare e autoritario.
Considero questo libro un capolavoro straordinario ed un documento indispensabile nello scaffale di un cittadino. Vediamo perché.
Gianni Flamini, giornalista, scrittore, già autore di un saggio sulla banda della Magliana, ha tre grandi pregi che raramente si riscontrano contemporaneamente:
- primo, è un ricercatore scrupoloso e obiettivo: quando si tratta di tirare le orecchie a burattinai e burattini, soldati di ventura e ideologi sanguinari, non fa distinzioni tra destra, sinistra, centro e vile pecunia;
- secondo, con onestà e coraggio snocciola un elenco impressionante di nomi e cognomi, luoghi, dettagli, testimonianze, episodi, azioni e trascorsi che mettono con le spalle al muro almeno tre generazioni di galantuomini che, dagli anni 60, si sono impegnati anima e corpo a dare all'Italia un'impronta quantomeno di presidenzialismo forte se non addirittura di autoritarismo;
- terzo, Flamini scrive dannatamente bene: ha un humour sprezzante e sarcastico, una prosa eloquente, uno stile giornalistico che appassiona e coinvolge come un romanzo. Non passa pagina senza una battuta salace, una metafora colorita, un commento pungente.
Flamini è un esperto di trame occulte davvero della prima ora: in pochi hanno scritto di un colpo di stato nel 1971, pochi mesi dopo che questo fosse messo in atto. In pochi ne scrivono tuttora, come se non ci fosse nulla di particolarmente preoccupante nell'aver nutrito per quarant'anni un nido di serpi sempre pronte a girare la testa e mordere la mano. Onore al merito.
Con L'Italia dei colpi di stato, l'autore ripercorre le tre grandi stagioni eversive della storia repubblicana, dal piano solo di De Lorenzo al golpe bianco di Edgardo Sogno. E siccome l'Italia è un Paese tremendamente complicato, Flamini svolge con successo il non facile compito di ricostruire le oscure vicende e gli intrighi più loschi che hanno avuto per protagonisti varie eminenze grigie, molti di casa nostra e alcuni provenienti da oltreoceano, senza trascurare le fratellanze -- più o meno segrete -- sempre a caccia di proseliti tra militari, barbe finte, industriali danarosi e politici non proprio incorruttibili.
Si conclude questa magnifica lettura con un senso di sgomento per l'impunità riservata a tanti e tali criminali, e di vergogna profonda per questa sorte di anestesia generale che sembra scorrere nelle vene degli italiani, inerti e indifferenti di fronte al pericolo reale di trovarsi, una mattina, dalla padella di una democrazia bloccata, corrotta e inefficiente, alla brace di un regime neofascista, plutocratico, militare e autoritario.
17 agosto 2008
Torino - Moncenisio - Modane con la V-Strom.
La sveglia è presto per essere domenica, le 8 puntuali con la caffettiera già pronta dalla sera prima. E' una di quelle mattine da motociclisti che in realtà inizia il sabato con la preparazione del percorso e l'occhio frenetico sulle previsioni del tempo. I siti di meteorologia diventano squadre di calcio per cui tifare: si tiene per quelli che danno bello stabile, e quelli che dicono pioggia li vorresti vedere in serie C.
Ma inizia ancora a prima con la messa a punto della Suzuki V-Strom: che va lavata, controllata, tirata a lucido, uno schianto insomma. Poi c'è il WD40 e il chain lube per pulire e ingrassare la catena a dovere. Perché tra qualche ora girerà parecchio. Tutto a posto, si può spegnere la luce e chiudere la porta del garage.
Se vivi a Torino e hai un solo giorno a disposizione, puoi andare al mare oppure in Francia. Con Matteo, che ha una Street Triple nera come la notte, abbiamo scelto la seconda opzione.
L'idea iniziale era Torino-Moncenisio-Monginevro-Torino. Ma anche la versione breve (Torino-Moncenisio e ritorno) non è da scartare, anzi: la Susa-Moncenisio è una classicissima.
Imbocchiamo la SS25 del Moncenisio da Corso Francia in direzione Val di Susa, e fino a Susa è un calvario: semafori, limiti di velocità (molti giusti, alcuni proprio assurdi), deviazioni per lavori. Un consiglio: a Susa arrivateci in un altro modo.
Da lì in poi, però, si gode, e parecchio. Il versante italiano ha curve strette e tornanti. Se stai dietro un camper sei fregato, almeno fino al primo, breve rettilineo. Se non hai nessuno davanti, è un divertimento: accelerate, staccate, pieghe. A onor del vero, quasi tutto il manto stradale è stato asfaltato di recente tanto che manca ancora la segnaletica orizzontale. Sulla piana di San Marino c'è un autovelox impostato a 70 kmh. Occhio.
A Barcenisio, ultimo avamposto italiano prima della frontiera, rivedo la grossa casa FUCI dove trascorrevo le vacanze con la parrocchia. Era l'87-88, grosso modo.
Passata l'ex frontiera, si affrontano gli ultimi tornanti fino ad arrivare al valico del Moncenisio, quota 2083 m slm.
Troviamo un anziano signore disposto a scattarci un paio di foto, visibilmente storte.
La vista sull'invaso artificiale è mozzafiato, le moto tante, le BMW di più, se possibile.
Nel misto stretto la V-Strom è a proprio agio (nei limiti del pilota) anche se si paga il peso non indifferente del veicolo che fa sentire la mancanza di qualche CV in più oppure di un dente in meno nel pignone. Fino a qui sono circa 130 km dalla partenza (Settimo Torinese). La temperatura scende, indossiamo il pile sotto la giacca.
Oltrepassato il valico, la parte francese si rivela la più interessante e divertente: le strade sono più larghe e consentono curve ampie e molto veloci. Si fa meno ricorso al cambio e non è inusuale tirare la sesta per un bel po'. L'asfalto è più vissuto e rappezzato rispetto alla parte italiana ma le vibrazioni non sono fastidiose. Qui la V-Strom ha dato il meglio di sé, correndo come un treno, incollata alla strada come un geco. Anche i vituperati Metzeler di serie si comportano onestamente.
A Termingnon ci fermiamo a comprare quattro tipi di formaggi (vacca e pecora) davvero ottimi e una baguette, e come due barboni pranziamo su una panchina. Acqua della fontanella, che signori.
Mezz'oretta di strada pause comprese e arriviamo a Modane, non esattamente un posto allegro. dove chiediamo indicazioni per il Monginevro, che è ancora lontano (99 km) e dove le nuvole grige si addensano nel cielo. Due valide ragioni per girare le moto e percorrere la strada a ritroso. Nuovamente, salite e discese del versante francese sono divertenti e non richiedono l'impegno necessario per i tornanti italiani. La paura di prendere un acquazzone mi mette il turbo e in meno di mezz'ora siamo di nuovo al lago del Moncenisio.
L'idea è percorrere in due sul mio V-Strom la strada sterrata che dalla statale porta alla diga sul lago. Ma dopo i primi metri, la mia imperizia fuoristradistica ci costringe ad un brusco dietro fornt, onde evitare una rovinosa caduta da fermo per il sollazzo dei turisti. Il lago lo guardiamo dall'alto, va bene anche così.
Si torna sull'asfalto e si punta verso Torino, con tappa nella sempre splendida Avigliana, trasformata per le ferie d'agosto in una città fantasma. Mancano i cespugli che rotolano e c'è tutto.
In sintesi. Il percorso è notevole, sia dal punto di vista del percorso motociclistico che della bellezza del paesaggio. Molti tratti meritano di rallentare per godere della vegetazione e delle linee dei monti.
Tempo permettendo, la versione completa del percorso (con rientro in Italia dal valico del Monginevro) sarebbe ancor più interessante.
La V-Strom, con gomme e motore in temperatura d'esercizio, è andata benone, e anche molto forte. Rispetto allo stress test a pieno carico della Corsica, di cui scriverò, viaggiando leggero non ho rilevato criticità agli ammortizzatori. Le gomme, data la natura dell'asfalto, hanno dato discrete performance e mantenuto un adeguato livello di sicurezza. I freni sono sempre un po' lunghi ma, grazie al poderoso freno motore, si usano poco, solo in staccata. Infine i consumi sono stati più che soddisfacenti nonostante le lunghe e ripide salite, i sorpassi e l'andatura non esattamente costante del percorso.
Scheda del percorso:
Lunghezza: circa 270 km
Tipo di strada: asfalto
Difficoltà: media; alcuni tratti un po' impegnativi
Dislivello: circa 1850 m (Torino 230 m slm, Moncenisio: 2083 m slm)
Ma inizia ancora a prima con la messa a punto della Suzuki V-Strom: che va lavata, controllata, tirata a lucido, uno schianto insomma. Poi c'è il WD40 e il chain lube per pulire e ingrassare la catena a dovere. Perché tra qualche ora girerà parecchio. Tutto a posto, si può spegnere la luce e chiudere la porta del garage.
Se vivi a Torino e hai un solo giorno a disposizione, puoi andare al mare oppure in Francia. Con Matteo, che ha una Street Triple nera come la notte, abbiamo scelto la seconda opzione.
L'idea iniziale era Torino-Moncenisio-Monginevro-Torino. Ma anche la versione breve (Torino-Moncenisio e ritorno) non è da scartare, anzi: la Susa-Moncenisio è una classicissima.
Visualizzazione ingrandita della mappa
Imbocchiamo la SS25 del Moncenisio da Corso Francia in direzione Val di Susa, e fino a Susa è un calvario: semafori, limiti di velocità (molti giusti, alcuni proprio assurdi), deviazioni per lavori. Un consiglio: a Susa arrivateci in un altro modo.
Da lì in poi, però, si gode, e parecchio. Il versante italiano ha curve strette e tornanti. Se stai dietro un camper sei fregato, almeno fino al primo, breve rettilineo. Se non hai nessuno davanti, è un divertimento: accelerate, staccate, pieghe. A onor del vero, quasi tutto il manto stradale è stato asfaltato di recente tanto che manca ancora la segnaletica orizzontale. Sulla piana di San Marino c'è un autovelox impostato a 70 kmh. Occhio.
A Barcenisio, ultimo avamposto italiano prima della frontiera, rivedo la grossa casa FUCI dove trascorrevo le vacanze con la parrocchia. Era l'87-88, grosso modo.
Passata l'ex frontiera, si affrontano gli ultimi tornanti fino ad arrivare al valico del Moncenisio, quota 2083 m slm.
Troviamo un anziano signore disposto a scattarci un paio di foto, visibilmente storte.
La vista sull'invaso artificiale è mozzafiato, le moto tante, le BMW di più, se possibile.
Nel misto stretto la V-Strom è a proprio agio (nei limiti del pilota) anche se si paga il peso non indifferente del veicolo che fa sentire la mancanza di qualche CV in più oppure di un dente in meno nel pignone. Fino a qui sono circa 130 km dalla partenza (Settimo Torinese). La temperatura scende, indossiamo il pile sotto la giacca.
Oltrepassato il valico, la parte francese si rivela la più interessante e divertente: le strade sono più larghe e consentono curve ampie e molto veloci. Si fa meno ricorso al cambio e non è inusuale tirare la sesta per un bel po'. L'asfalto è più vissuto e rappezzato rispetto alla parte italiana ma le vibrazioni non sono fastidiose. Qui la V-Strom ha dato il meglio di sé, correndo come un treno, incollata alla strada come un geco. Anche i vituperati Metzeler di serie si comportano onestamente.
A Termingnon ci fermiamo a comprare quattro tipi di formaggi (vacca e pecora) davvero ottimi e una baguette, e come due barboni pranziamo su una panchina. Acqua della fontanella, che signori.
Mezz'oretta di strada pause comprese e arriviamo a Modane, non esattamente un posto allegro. dove chiediamo indicazioni per il Monginevro, che è ancora lontano (99 km) e dove le nuvole grige si addensano nel cielo. Due valide ragioni per girare le moto e percorrere la strada a ritroso. Nuovamente, salite e discese del versante francese sono divertenti e non richiedono l'impegno necessario per i tornanti italiani. La paura di prendere un acquazzone mi mette il turbo e in meno di mezz'ora siamo di nuovo al lago del Moncenisio.
L'idea è percorrere in due sul mio V-Strom la strada sterrata che dalla statale porta alla diga sul lago. Ma dopo i primi metri, la mia imperizia fuoristradistica ci costringe ad un brusco dietro fornt, onde evitare una rovinosa caduta da fermo per il sollazzo dei turisti. Il lago lo guardiamo dall'alto, va bene anche così.
Si torna sull'asfalto e si punta verso Torino, con tappa nella sempre splendida Avigliana, trasformata per le ferie d'agosto in una città fantasma. Mancano i cespugli che rotolano e c'è tutto.
In sintesi. Il percorso è notevole, sia dal punto di vista del percorso motociclistico che della bellezza del paesaggio. Molti tratti meritano di rallentare per godere della vegetazione e delle linee dei monti.
Tempo permettendo, la versione completa del percorso (con rientro in Italia dal valico del Monginevro) sarebbe ancor più interessante.
La V-Strom, con gomme e motore in temperatura d'esercizio, è andata benone, e anche molto forte. Rispetto allo stress test a pieno carico della Corsica, di cui scriverò, viaggiando leggero non ho rilevato criticità agli ammortizzatori. Le gomme, data la natura dell'asfalto, hanno dato discrete performance e mantenuto un adeguato livello di sicurezza. I freni sono sempre un po' lunghi ma, grazie al poderoso freno motore, si usano poco, solo in staccata. Infine i consumi sono stati più che soddisfacenti nonostante le lunghe e ripide salite, i sorpassi e l'andatura non esattamente costante del percorso.
Scheda del percorso:
Lunghezza: circa 270 km
Tipo di strada: asfalto
Difficoltà: media; alcuni tratti un po' impegnativi
Dislivello: circa 1850 m (Torino 230 m slm, Moncenisio: 2083 m slm)
06 agosto 2008
Verso la Corsica.
E stavolta in moto. Per conigliaggine (e coglionaggine), la V-Strom è rimasta in garage mentre si andava sulle Alpi. Stavolta invece non ho scampo perché anche il traghetto Moby mi aspetta su due ruote.
Pare che il test drive sia impegnativo, vuoi per le strade vuoi per i còrsi che guidano alla stevemcqueen.
Equipaggiamento leggero a parte il tratto Torino-Genova. Di questo passo, finisco per guidare in crocs e shorts.
Pare che il test drive sia impegnativo, vuoi per le strade vuoi per i còrsi che guidano alla stevemcqueen.
Equipaggiamento leggero a parte il tratto Torino-Genova. Di questo passo, finisco per guidare in crocs e shorts.
26 luglio 2008
Luce di cortesia per bauletti Givi.
Quante volte parcheggiando la moto di sera, al buio, avete faticato a trovare qualcosa dentro il bauletto, magari le chiavi di casa o il telefonino? A me è successo spesso, così ho iniziato a cercare un punto luce compatto da sistemare all'interno del mio bauletto Givi Maxia 52, uno tra i più diffusi su moto e scooters.
Nei supermercati e nei negozi di fai-da-te ho trovato un punto luce Osram a 3 LED, molto ingombrante. Scartato.
Sono andato in un negozio di componenti elettronici, ma non aveva nulla di pronto che mi soddisfacesse.
Dopo un po' di insistenze il commesso mi ha mostrato una striscia di LED bianchi che viene tagliata da un rotolo, come i cavi elettrici, simile a questa. Il grande vantaggio è di essere adesiva in modo da essere incollata su qualunque superficie liscia.
Ho pertanto deciso di realizzare una semplice ma potente luce di cortesia per bauletto basata su questo simpatico gadget.
Se volete fare altrettanto, ecco cosa vi serve:
Per ottimizzare gli spazi e fare un "lavoro pulito", ho optato per utilizzare il solo portadocumenti presente all'interno del bauletto (vedi foto) . Si tratta di una tasca di plastica avvitata in due punti sul coperchio superiore del bauletto ed apribile mediante snodo. La profondità interna massima è sufficiente per alloggiare una comune pila da 9V, un interruttore e un po' di cablaggio.
La prima foto mostra i pochi componenti necessari.
Per prima cosa ho ritagliato un piccolo spazio sul fianchetto del portadocumenti per alloggiare il micro switch e l'ho saldamente incollato con colla Attak in gel.
Quindi ho proceduto con la parte più difficile: le saldature dei cavetti di alimentazione (quelli del portapila 9V) sul LED strip. Non trovando alcuna informazione in rete, ho proceduto per tentativi. Non è facile, perché il retro della striscia è coperta di gomma adesiva che fa asportata per trovare le piste di rame. Occorre praticare due piccoli fori sulle piste di rame e quindi saldarvi i capi dei cavetti di alimentazione, rispettando il segno + e il segno -. Io li ho saldati sul retro per motivi estetici, ma non sono certo che sia la cosa più saggia. Forse era meglio saldarli dalla parte superiore.
Fatto questo, ho interposto il micro swith ai cavetti di alimentazione. Successivamente ho rimosso la pellicola protettiva dal retro del LED strip e l'ho incollata sul portadocumenti, in prossimità degli snodi. Infine ho assicurato la pila all'interno con un po' di nastro biadesivo (di quelli spessi, con una sottile gommapiuma in mezzo), ho verificato che tutto funzionasse (yuppi!) e ho rimontato il portadocumenti all'interno del bauletto.
Le foto mostrano le fasi del lavoro.
Il risultato è ottimo. Il LED strip, sebbene sottoalimentato (tensione nominale 12 VCC) produce una luce bianca intensa e forte. L'ho provato in una stanza buia e fa un bell'effetto oltre che il suo lavoro. Speriamo che sia resistente alle vibrazioni.
Ma non gloriamoci. Ecco i mie errori o, meglio quello, che ho imparato e che si può migliorare:
Ogni commento e suggerimento sarà gradito, via email (la trovate nel sito) o con commenti al post.
AGGIORNAMENTO.
Mi segnalano che per il Givi E46 un accessorio simile (ma più grosso e non a LED!!) esiste.
Nei supermercati e nei negozi di fai-da-te ho trovato un punto luce Osram a 3 LED, molto ingombrante. Scartato.
Sono andato in un negozio di componenti elettronici, ma non aveva nulla di pronto che mi soddisfacesse.
Dopo un po' di insistenze il commesso mi ha mostrato una striscia di LED bianchi che viene tagliata da un rotolo, come i cavi elettrici, simile a questa. Il grande vantaggio è di essere adesiva in modo da essere incollata su qualunque superficie liscia.
Ho pertanto deciso di realizzare una semplice ma potente luce di cortesia per bauletto basata su questo simpatico gadget.
Se volete fare altrettanto, ecco cosa vi serve:
- LED strip, una striscia adesiva di LED ad alta intensità, venduta a gruppi di 3. Io ne ho presi 6. Alimentazione 12VCC, ma 9 sono OK.
- 1 mini slide switch (interruttore)
- 1 pila da 9V
- 1 clip per pile da 9V
- stagno, saldatore, pasta salda
- nastro biadesivo
Per ottimizzare gli spazi e fare un "lavoro pulito", ho optato per utilizzare il solo portadocumenti presente all'interno del bauletto (vedi foto) . Si tratta di una tasca di plastica avvitata in due punti sul coperchio superiore del bauletto ed apribile mediante snodo. La profondità interna massima è sufficiente per alloggiare una comune pila da 9V, un interruttore e un po' di cablaggio.
La prima foto mostra i pochi componenti necessari.
Per prima cosa ho ritagliato un piccolo spazio sul fianchetto del portadocumenti per alloggiare il micro switch e l'ho saldamente incollato con colla Attak in gel.
Quindi ho proceduto con la parte più difficile: le saldature dei cavetti di alimentazione (quelli del portapila 9V) sul LED strip. Non trovando alcuna informazione in rete, ho proceduto per tentativi. Non è facile, perché il retro della striscia è coperta di gomma adesiva che fa asportata per trovare le piste di rame. Occorre praticare due piccoli fori sulle piste di rame e quindi saldarvi i capi dei cavetti di alimentazione, rispettando il segno + e il segno -. Io li ho saldati sul retro per motivi estetici, ma non sono certo che sia la cosa più saggia. Forse era meglio saldarli dalla parte superiore.
Fatto questo, ho interposto il micro swith ai cavetti di alimentazione. Successivamente ho rimosso la pellicola protettiva dal retro del LED strip e l'ho incollata sul portadocumenti, in prossimità degli snodi. Infine ho assicurato la pila all'interno con un po' di nastro biadesivo (di quelli spessi, con una sottile gommapiuma in mezzo), ho verificato che tutto funzionasse (yuppi!) e ho rimontato il portadocumenti all'interno del bauletto.
Le foto mostrano le fasi del lavoro.
Il portadocumenti Givi e i componenti usati. Clicca per ingrandire.
Particolare della batteria da 9V e del micro switch incollato sul fianchetto del portadocumenti. Clicca per ingrandire.
Il LED strip montato vicino allo snodo del portadocumenti (LED spenti). Clicca per ingrandire.
Il LED strip montato vicino allo snodo del portadocumenti (LED accesi). Clicca per ingrandire.
Il punto luce sistemato nel bauletto (dopo aver rimontato il portadocumenti). Clicca per ingrandire.
Particolare della batteria da 9V e del micro switch incollato sul fianchetto del portadocumenti. Clicca per ingrandire.
Il LED strip montato vicino allo snodo del portadocumenti (LED spenti). Clicca per ingrandire.
Il LED strip montato vicino allo snodo del portadocumenti (LED accesi). Clicca per ingrandire.
Il punto luce sistemato nel bauletto (dopo aver rimontato il portadocumenti). Clicca per ingrandire.
Il risultato è ottimo. Il LED strip, sebbene sottoalimentato (tensione nominale 12 VCC) produce una luce bianca intensa e forte. L'ho provato in una stanza buia e fa un bell'effetto oltre che il suo lavoro. Speriamo che sia resistente alle vibrazioni.
Ma non gloriamoci. Ecco i mie errori o, meglio quello, che ho imparato e che si può migliorare:
- saldature sulle piste di rame del LED strip: le mie sono venute male, forse esiste una tecnica per renderle migliori e più sicure. Ogni suggerimento è benvenuto.
- La posizione: ho scelto la più vicina alla pila per motivi di cablaggio ma se il punto luce fosse posizionato nella parte alta del portadoc anziché in quella bassa, illuminerebbe meglio l'interno del bauletto, senza ombre.
Ogni commento e suggerimento sarà gradito, via email (la trovate nel sito) o con commenti al post.
AGGIORNAMENTO.
Mi segnalano che per il Givi E46 un accessorio simile (ma più grosso e non a LED!!) esiste.
23 luglio 2008
My life 2.0.
Perché a volte le cose cambiano.
Scrivo questo post da Venezia. Sono qui per lavoro. Non è la prima volta che bazzico Venezia per lavoro, e chi legge il mio blog lo sa.
Qualche settimana fa si è prospettata un'attività interessante e pertinente al mio profilo. A quanto pare anche il datore di lavoro era d'accordo. Potrebbe essere un'esperienza gratificante e una delle poche opportunità di crescita che finora mi sono state prospettate; per di più, mi consentirebbe di trasformare la mia passione per la fotografia in un progetto non privo di una qualche operatività.
Preferisco omettere i pochi dettagli di mia conoscenza, per un mix di riservatezza e scaramanzia. Ad esempio, sono ancora in attesa che la mia eventuale disponibilità a cambiare sede di lavoro per un periodo così lungo sia in qualche modo formalizzata. Per ora inizio a lavorare al progetto e aspetto che il telefono squilli.
Due anni a Venezia significano anche altro, ovviamente. Prima di tutto, lontananza. Da Torino, dove c'è la mia famiglia, qualche amico e la mia vita negli ultimi sette anni; da Genova, dove vivono i miei genitori e gli amici. A 33 anni, la maggior parte delle persone che conosco hanno una situazione stabile. Io ricomincio con un nuovo nomadismo, mettendoci tutto il mio entusiasmo e quelle due o tre cose che ho imparato negli ultimi dieci anni.
Lontano. Sì, abbastanza. 5 ore di treno, 4 se prendo l'alta velocità, più gli spicci per andare a Settimo. Non è uno scherzo, sia chiaro. Sapere che vedrò la mia famiglia solo nei weekend per i prossimi 2 anni, durante i quali dovrò viaggiare con una certa frequenza, non mi lascia indifferente. Quando mi guardo indietro mi rendo conto che, rispetto alla media, ho quietato veramente poco, e mi domando quanto sia frutto del destino e quanto il risultato della mia curiosità.
Poi ci sono le incognite lavorative che chiunque, dotato di un briciolo di onestà intellettuale, si porrebbe: diciamo tutte le domande della serie "sarò all'altezza del compito assegnatomi?"
Per ora, certezze poche. Pochissime. Finisco questa settimana a Venezia, magari riesco a fare anche qualche giorno di ferie, e poi a settembre vediamo che cosa succede.
Mi verrebbe istintivo, in un momento così particolare della mia vita personale eprofessionale, rivolgere ai miei amici una frase del tipo "Statemi vicino"; ma mi rendo conto che, in realtà, si va a stare semplicemente più lontani.
Me la caverò.
E' l'1.30 di mattina e manca poco all'inizio di un nuovo giorno. Dormire qualche ora non sarebbe una scelta sbagliata.
Buonanotte.
Scrivo questo post da Venezia. Sono qui per lavoro. Non è la prima volta che bazzico Venezia per lavoro, e chi legge il mio blog lo sa.
Dov'è la notizia, allora?
Prima di dare la notizia è necessaria una premessa che ha il sapore di un disclaimer. Ovvero: io per primo ho ben poche informazioni sul mio destino e sul mio futuro. Soprattutto, ho pochissime certezze. Di dettagli neanche a parlarne. Pertanto, è possibile che quanto sto per scrivere non accada o accada in maniera diversa. Sia quel che sia.
Passo alla notizia. Sono a Venezia per lavoro, dicevo. Ma stavolta, la cosa andrà un po' più per le lunghe. Diciamo un paio d'anni, forse qualcosa meno. Cerco di essere più esplicito: con una forma ancora da stabilirsi, e se tutto va per il verso giusto, per i prossimi due anni lavorerò al Future Centre di Telecom Italia a Venezia. Il che significa diverse cose.Qualche settimana fa si è prospettata un'attività interessante e pertinente al mio profilo. A quanto pare anche il datore di lavoro era d'accordo. Potrebbe essere un'esperienza gratificante e una delle poche opportunità di crescita che finora mi sono state prospettate; per di più, mi consentirebbe di trasformare la mia passione per la fotografia in un progetto non privo di una qualche operatività.
Preferisco omettere i pochi dettagli di mia conoscenza, per un mix di riservatezza e scaramanzia. Ad esempio, sono ancora in attesa che la mia eventuale disponibilità a cambiare sede di lavoro per un periodo così lungo sia in qualche modo formalizzata. Per ora inizio a lavorare al progetto e aspetto che il telefono squilli.
Due anni a Venezia significano anche altro, ovviamente. Prima di tutto, lontananza. Da Torino, dove c'è la mia famiglia, qualche amico e la mia vita negli ultimi sette anni; da Genova, dove vivono i miei genitori e gli amici. A 33 anni, la maggior parte delle persone che conosco hanno una situazione stabile. Io ricomincio con un nuovo nomadismo, mettendoci tutto il mio entusiasmo e quelle due o tre cose che ho imparato negli ultimi dieci anni.
Lontano. Sì, abbastanza. 5 ore di treno, 4 se prendo l'alta velocità, più gli spicci per andare a Settimo. Non è uno scherzo, sia chiaro. Sapere che vedrò la mia famiglia solo nei weekend per i prossimi 2 anni, durante i quali dovrò viaggiare con una certa frequenza, non mi lascia indifferente. Quando mi guardo indietro mi rendo conto che, rispetto alla media, ho quietato veramente poco, e mi domando quanto sia frutto del destino e quanto il risultato della mia curiosità.
Poi ci sono le incognite lavorative che chiunque, dotato di un briciolo di onestà intellettuale, si porrebbe: diciamo tutte le domande della serie "sarò all'altezza del compito assegnatomi?"
Per ora, certezze poche. Pochissime. Finisco questa settimana a Venezia, magari riesco a fare anche qualche giorno di ferie, e poi a settembre vediamo che cosa succede.
Mi verrebbe istintivo, in un momento così particolare della mia vita personale eprofessionale, rivolgere ai miei amici una frase del tipo "Statemi vicino"; ma mi rendo conto che, in realtà, si va a stare semplicemente più lontani.
Me la caverò.
E' l'1.30 di mattina e manca poco all'inizio di un nuovo giorno. Dormire qualche ora non sarebbe una scelta sbagliata.
Buonanotte.
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