Ricevo sulla mia casella Gmail un tentativo di phishing su Intesa-San Paolo. Però il testo lo hanno fatto scrivere al maestro Yoda.
Per inciso, il buon Mozilla ha riconosciuto il sito contraffatto cui punta il link.
24 marzo 2007
23 marzo 2007
Vodafone sospende il servizio SMS vocali: il potere della rete.
Nei giorni scorsi Vodafone ha attivato agli utenti due servizi di SMS vocale senza chiedere il consenso.
Subito c'è stato un susseguirsi di proteste e discussioni nei blog e nei forum, e in breve si è trovato il modo per disattivare semplicemente i servizi.
Anch'io ho cercato di dare il mio contributo, segnalando la procedura (verificata da me) per disattivarli.
Senza fare troppe polemiche, mi sono limitato a scrivere che gli utenti non sono stati interpellati ne è stata chiesta loro l'approvazione per l'attivazione degli SMS vocali. Ma evidentemente il tono delle proteste è stato piuttosto acceso. Tant'è che poche ore fa Vodafone ha inviato una email in cui spiega la natura e i costi del servizio e dichiara di averlo sospeso "al fine di dissipare ogni dubbio e contestare ogni critica infondata".
Per il diritto di replica, pubblico interamente il testo della mail inviato da Vodafone e rilevo ancora una volta, con non poca soddisfazione, che i mercati sono conversazioni.
Subito c'è stato un susseguirsi di proteste e discussioni nei blog e nei forum, e in breve si è trovato il modo per disattivare semplicemente i servizi.
Anch'io ho cercato di dare il mio contributo, segnalando la procedura (verificata da me) per disattivarli.
Senza fare troppe polemiche, mi sono limitato a scrivere che gli utenti non sono stati interpellati ne è stata chiesta loro l'approvazione per l'attivazione degli SMS vocali. Ma evidentemente il tono delle proteste è stato piuttosto acceso. Tant'è che poche ore fa Vodafone ha inviato una email in cui spiega la natura e i costi del servizio e dichiara di averlo sospeso "al fine di dissipare ogni dubbio e contestare ogni critica infondata".
Per il diritto di replica, pubblico interamente il testo della mail inviato da Vodafone e rilevo ancora una volta, con non poca soddisfazione, che i mercati sono conversazioni.
Vodafone fa chiarezza sul servizio SMS Vocale:
un comunicato ufficiale per fornire tutte le informazioni.
Gentile Cliente,
in seguito al lancio avvenuto nel mese di marzo del servizio SMS Vocale, nei principali forum dedicati alla telefonia mobile, in alcuni siti web, tra i consumatori ed i Clienti, hanno iniziato a diffondersi informazioni non corrette sulle modalità, l'uso e i costi del servizio, che hanno generato incertezza e confusione.
Vodafone ha il piacere di fornire direttamente ai propri Clienti una corretta informazione in merito al servizio.
SMS Vocale permette di inviare un messaggio vocale quando la persona chiamata ha il cellulare spento o non raggiungibile.
Il Cliente che chiama ascolta il messaggio gratuito di avviso:
"SMS Vocale Vodafone, messaggio gratuito. La persona chiamata non è al momento disponibile. Per inviare un SMS Vocale parli dopo il segnale acustico e poi riagganci.
Info e costi al numero gratuito 42055."
Il Cliente può scegliere se riagganciare o registrare un messaggio con la propria voce, dopo il segnale acustico.
- Il messaggio gratuito dura 15 secondi.
- Dopo il messaggio ci sono un paio di secondi di silenzio
- Dopo il silenzio c'e' il segnale acustico, dopo il quale il Cliente puo' registrare il messaggio.
- Se il Cliente non parla, o parla meno di 2 secondi, il messaggio non viene inviato e il Cliente non riceve nessun addebito.
- L'SMS Vocale ha un costo di 29 centesimi per chi lo invia.
- E' gratuito per chi lo riceve.
- Il servizio può essere disattivato chiamando il numero gratuito 42070 oppure dall'Area personale "190 Fai da te".
- il Cliente non ha 1,5 secondi ma ha 15 secondi per riagganciare prima di vedersi addebitare il costo della registrazione dell'SMS Vocale.
- non paga 10 cent quando ascolta il messaggio dell'SMS Vocale, in quanto è gratuito.
- non sono cambiati i criteri di tariffazione della segreteria telefonica.
Vodafone resta a disposizione dei propri Clienti attraverso i tradizionali strumenti di comunicazione.
Distinti Saluti
Servizio Clienti Vodafone
21 marzo 2007
Vodafone: disabilitare SMS vocali.
Negli scorsi giorni, senza entrare nel merito del motivo o della modalità, Vodafone ha attivato in maniera automatica e gratuitamente due servizi di SMS vocale. Si tratta di Ricezione SMS vocale e Notifica ricezione SMS vocale.
In poche parole, se l'utente chiamato ha il terminale spento e non ha la segreteria telefonica, si attiva automaticamente un servizio di SMS vocale che costa al chiamante 29 centesimi.
A prescindere dall'utilità, i servizi sono stati attivati senza chiedere il parere agli utenti.
Disattivarli è possibile, ma non semplice, perché da web (autenticandosi su 190.it) i server vanno spesso in timeout e chiamando il 190 ci si perde in una giungla di premi #, premi 2 ecc.
Ecco quindi la procedura, provata e verificata dal sottoscritto, per disattivare (sempre che lo si desideri, poi ognuno fa quello che vuole) tali servizi:
per disattivare Ricezione SMS vocale: chiamate il numero gratuito 42070, digitate 8 poi 1 e poi 1
per disattivare Notifica ricezione SMS vocale: chiamate il numero gratuito 42070, digitate 8 poi 2 e poi 1.
In poche parole, se l'utente chiamato ha il terminale spento e non ha la segreteria telefonica, si attiva automaticamente un servizio di SMS vocale che costa al chiamante 29 centesimi.
A prescindere dall'utilità, i servizi sono stati attivati senza chiedere il parere agli utenti.
Disattivarli è possibile, ma non semplice, perché da web (autenticandosi su 190.it) i server vanno spesso in timeout e chiamando il 190 ci si perde in una giungla di premi #, premi 2 ecc.
Ecco quindi la procedura, provata e verificata dal sottoscritto, per disattivare (sempre che lo si desideri, poi ognuno fa quello che vuole) tali servizi:
per disattivare Ricezione SMS vocale: chiamate il numero gratuito 42070, digitate 8 poi 1 e poi 1
per disattivare Notifica ricezione SMS vocale: chiamate il numero gratuito 42070, digitate 8 poi 2 e poi 1.
20 marzo 2007
Liberi tutti.
Adesso vorrei vedere qualche firma raccolta anche per gli altri due, uno in mano ai servizi afgani e l'altro ai talebani.
(foto Ansa)
(foto Ansa)
Jay McInerney, Le mille luci di New York.
Per la serie I migliori libri della mia vita (fino a qui), oggi vorrei scrivere qualche appunto su un romanzo che letto e regalato e poi riletto. Si tratta de Le mille luci di New York (1984) * di Jay McInerney.
Tempo fa ne è stato tratto anche un film diretto da James Bridges che ha dato a Michael J. Fox il ruolo da protagonista. Non indimenticabile.
Ma torniamo al libro.
Jamie voleva fare lo scrittore e invece si accontenta di un lavoro da redattore in una rivista. Jamie ha amato una donna, una modella cresciuta in campagna a cui fa conoscere le bright lights di New York. Ma lei non gli rende la cortesia, e lo lascia solo. Così Jamie affoga il dolore nell'alcool e nella coca.
Trama banale? Può darsi. Quanti uomini persi in un bicchiere sono stati raccontati nella storia della letteratura? Tuttavia Le mille luci è un piccolo tesoro da scoprire pagina per pagina.
Innanzitutto, il registro narrativo. Gran parte delle riflessioni amare di Jamie sono scritte in seconda persona. Scorrendo l'apparentemente inarrestabile caudta verso il basso di questo brillante ragazzo di NY, mi sentivo coinvolto, protagonista, seduto su uno sgabello davanti all'ennesimo cocktail alle 3 del mattino, frustrato di un lavoro diverso dai miei sogni, disperato per l'abbandono di una donna che avevo amato e curato come un fiore e che, un bel mattino, se n'è volata via.
E di questo passo, in un crescendo di sconfitte e rivincite, notti agitate, donne e alcool, finché. Punto.
Sì, perché questo finché ha bisogno di uno spazio suo. Finché c'è una svolta. Finché scatta un meccanismo per cui bisogna risalire la china, a tutti i costi. Le mille luci è il racconto del ricominciare a vivere, del riprendere la propria esistenza tra le mani e dirsi pronti a ripartire da dove si era presa la strada sbagliata.
Le mille luci è stato un libro importante nella mia vita, nonostante le sue poche pagine e il film che l'ha superato in notorietà (ma non in qualità), perché in uno scaffale pieno di sconfitte e finali tragici, è sempre stato un piccolo, flebile raggio di luce.
Una speranza, se ci credi e se te la vuoi guadagnare, può esserci anche quando si toccato il fondo.
Tempo fa ne è stato tratto anche un film diretto da James Bridges che ha dato a Michael J. Fox il ruolo da protagonista. Non indimenticabile.
Ma torniamo al libro.
Jamie voleva fare lo scrittore e invece si accontenta di un lavoro da redattore in una rivista. Jamie ha amato una donna, una modella cresciuta in campagna a cui fa conoscere le bright lights di New York. Ma lei non gli rende la cortesia, e lo lascia solo. Così Jamie affoga il dolore nell'alcool e nella coca.
Trama banale? Può darsi. Quanti uomini persi in un bicchiere sono stati raccontati nella storia della letteratura? Tuttavia Le mille luci è un piccolo tesoro da scoprire pagina per pagina.
Innanzitutto, il registro narrativo. Gran parte delle riflessioni amare di Jamie sono scritte in seconda persona. Scorrendo l'apparentemente inarrestabile caudta verso il basso di questo brillante ragazzo di NY, mi sentivo coinvolto, protagonista, seduto su uno sgabello davanti all'ennesimo cocktail alle 3 del mattino, frustrato di un lavoro diverso dai miei sogni, disperato per l'abbandono di una donna che avevo amato e curato come un fiore e che, un bel mattino, se n'è volata via.
E di questo passo, in un crescendo di sconfitte e rivincite, notti agitate, donne e alcool, finché. Punto.
Sì, perché questo finché ha bisogno di uno spazio suo. Finché c'è una svolta. Finché scatta un meccanismo per cui bisogna risalire la china, a tutti i costi. Le mille luci è il racconto del ricominciare a vivere, del riprendere la propria esistenza tra le mani e dirsi pronti a ripartire da dove si era presa la strada sbagliata.
Le mille luci è stato un libro importante nella mia vita, nonostante le sue poche pagine e il film che l'ha superato in notorietà (ma non in qualità), perché in uno scaffale pieno di sconfitte e finali tragici, è sempre stato un piccolo, flebile raggio di luce.
Una speranza, se ci credi e se te la vuoi guadagnare, può esserci anche quando si toccato il fondo.
19 marzo 2007
Joost in time.
I ragazzi di Joost mi scrivono di stare tranquillo, che non si sono scordati di me
"...expect an invite within the next couple of weeks - in the meantime, thanks for
bearing with us - we appreciate it."
18 marzo 2007
SUN18.
Sto camminando lento in questa domenica sera di provincia. E' quasi lunedì.
M non importa.
Si alza un vento inusuale. Qui, di solito, non si muove foglia. Invece stasera è diverso. Le cartacce e i tovaglioli, di fronte alla gelateria, volteggiano in aria, poi cadono sull'asfalto. Poco distante, il vento solleva una polvere grigia, la stessa che copre i vetri delle auto parcheggiate.
L'ultima di luce: piatta, biancastra. Il buio avrebbe pietà di queste strade.
Una donna sola fuma seduta su una panchina. Il vento le posa una pagina di giornale sulla caviglia. Lei la scosta, getta la sigaretta, e se ne va.
D'improvviso, ho così tanti ricordi, proprio io, che dodici anni fa decisi di passare la spugna sul mio passato, e dimenticare tutto per trovarmi senza memoria, come se fossi appena nato.
Domenica era il titolo di un racconto, anzi, di una novella, come diceva l'autore. Quattro pagine così piene di disperazione da sembrare vere: i sogni non si avverano mai. Tutt'al più, non accade nulla, e la domenica si consuma. So, adesso, di aver aggiunto dolore a quella disperazione. Questo me lo ricordo.
Ma cos'è accaduto prima? Che cosa facevo prima di allora, come trascorrevo le domeniche, come arrivavo, ogni volta, ad un nuovo lunedì?
Ricordo certe domeniche d'autunno, passate a guidare la mia Vespa bianca per le strade di Genova, sentendo l'aria umida entrarmi nella giacca.
Ci sono volte in cui non riesco a spiegarmi come i miei passi sono potuti finire qui, sul sagrato di una chiesa fuori Torino ed io, naufrago in una terra senz'acqua, ad osservare famiglie che tornano a casa, auto parcheggiate, vecchi giornali.
Domenica. Guardo spesso l'orologio. Eppure non riesco a memorizzare l'ora. Vedo il datario che dice SUN18, con quel SUN in rosso, come a volermi ricordare che qualcuno, da qualche parte, sta festeggiando questo giorno. Non so che ore sono, ma si sta facendo sempre più buio.
Per strada, di fronte al mio portone, i ragazzi parlano a voce alta; le ragazze chiedono una sigaretta. Un'auto passa veloce, alzando un po' di polvere. Ma il vento è già cessato.
La porta che si chiude, lasciando fuori, nel buio della scala, gli ultimi brandelli di domenica.
M non importa.
Si alza un vento inusuale. Qui, di solito, non si muove foglia. Invece stasera è diverso. Le cartacce e i tovaglioli, di fronte alla gelateria, volteggiano in aria, poi cadono sull'asfalto. Poco distante, il vento solleva una polvere grigia, la stessa che copre i vetri delle auto parcheggiate.
L'ultima di luce: piatta, biancastra. Il buio avrebbe pietà di queste strade.
Una donna sola fuma seduta su una panchina. Il vento le posa una pagina di giornale sulla caviglia. Lei la scosta, getta la sigaretta, e se ne va.
D'improvviso, ho così tanti ricordi, proprio io, che dodici anni fa decisi di passare la spugna sul mio passato, e dimenticare tutto per trovarmi senza memoria, come se fossi appena nato.
Domenica era il titolo di un racconto, anzi, di una novella, come diceva l'autore. Quattro pagine così piene di disperazione da sembrare vere: i sogni non si avverano mai. Tutt'al più, non accade nulla, e la domenica si consuma. So, adesso, di aver aggiunto dolore a quella disperazione. Questo me lo ricordo.
Ma cos'è accaduto prima? Che cosa facevo prima di allora, come trascorrevo le domeniche, come arrivavo, ogni volta, ad un nuovo lunedì?
Ricordo certe domeniche d'autunno, passate a guidare la mia Vespa bianca per le strade di Genova, sentendo l'aria umida entrarmi nella giacca.
Ci sono volte in cui non riesco a spiegarmi come i miei passi sono potuti finire qui, sul sagrato di una chiesa fuori Torino ed io, naufrago in una terra senz'acqua, ad osservare famiglie che tornano a casa, auto parcheggiate, vecchi giornali.
Domenica. Guardo spesso l'orologio. Eppure non riesco a memorizzare l'ora. Vedo il datario che dice SUN18, con quel SUN in rosso, come a volermi ricordare che qualcuno, da qualche parte, sta festeggiando questo giorno. Non so che ore sono, ma si sta facendo sempre più buio.
Per strada, di fronte al mio portone, i ragazzi parlano a voce alta; le ragazze chiedono una sigaretta. Un'auto passa veloce, alzando un po' di polvere. Ma il vento è già cessato.
La porta che si chiude, lasciando fuori, nel buio della scala, gli ultimi brandelli di domenica.
16 marzo 2007
Chinese food.
Sono le nove passate e sono comodamente seduto su una sedia laccata di un ristorante cinese. Il ristorante è il Dong Hua, qualunque cosa voglia dire, in quel cesso di strada che è Corso San Maurizio, dove ho avuto la sfortuna di abitare per quasi tre anni.
Quando vivevo in centro, la gente mi diceva "Ah, bella Corso San Maurizio!", e siccome spesso erano torinesi, concludevo il discorso con un sorrisetto, senza ribattere, senza condividere il mio odio per quel luogo.Ma intanto nella mia testa mi immagino uno stormo di B52 pieni fino all'orlo di Napalm sorvolare la Vanchiglia e, al momento opportuno, trasformarla in un cumulo di macerie fumanti.
Non era nemmeno divertente giocare PartyCasino.it né rilassarsi o leggere libri. Torniamo al ristorante. Sto cercando di scorrere il menu, ma i discorsi di un tipo seduto a qualche metro da me mi distraggono. Il professorino è al tavolo con una ragazza, e parla, parla, parla senza sosta. L'ha portata al cinese in un penoso tentativo di etnico-a-basso-costo? Fa sfoggio di una cultura appicicaticcia da forse non tutti sanno che. Spara una cazzata dietro l'altra, senza sosta. Le spiega, fatto interessantissimo, che kompass viene dal russo non so cosa e signfica bussola, quell'arnese che segna il nord il sud l'est e l'ovest. Deficiente, la bussola segna solo il nord, gli altri punti li deduci. E poi che fai, lo racconti ad una ragazza? Guarda che non è scema: lo sa cos'è una bussola e a cosa serve. Vorrei alzarmi, avvicinarmi a lui, guardarlo fisso negli occhi e dirgli che se continua di questo passo, al massimo se la può scopare in sogno. Ma nn lo faccio. Voglio vedere fino a che punto è capace di arrivare.Poi la ragazza si alza, e mi passa accanto per raggiungere la toilette. Capisco molte cose.Primo. La ragazza è cinese, motivo per cui il professorino le parlava come si parla ad un'idiota.Secondo. Lui è un idiota. Porti una ragazza cinese in un mediocre ristorante cinese di Torino? Che cosa pernseresti se una ragazza americana ti portasse a mangiare una pizza da Sbarro?
Torno al mio menu. Io adoro i ristoranti cinesi. Sono tranquilli, economici e i camerieri sanno farsi i fatti propri. Sono i luoghi migliori dove rifugiarsi quando si è fatto qualcosa che non andrebbe fatto. Nessuno ti chiede nulla, mangi, paghi ed esci. Fine della transazione. La vita dovrebbe essere un grosso ristorante cinese, con i mobili laccati e il bagno pulito. Invece somiglia ad una mensa affollata e rumorosa.
Il menu. Mi accorgo che, nonostante gli sforzi profusi, tendo a ordinare gli stessi sei-sette piatti. Panino cinese al vapore, pollo con le mandorle, riso con i gamberi. Ci sono decine di pietanze di maiale, vitello e soia che non riescono a persuadermi. Nulla da fare. Prenderò il panino cinese e il solito pollo alle mandorle. Non ho voglia di farmi stupire. Il professorino ha ripreso a sfoggiare la sua erudizione da figlio di papà, la ragazza reprime uno sbadiglio. Il cameriere mi porta il mio pollo alle mandorle.
Va tutto bene.
Quando vivevo in centro, la gente mi diceva "Ah, bella Corso San Maurizio!", e siccome spesso erano torinesi, concludevo il discorso con un sorrisetto, senza ribattere, senza condividere il mio odio per quel luogo.Ma intanto nella mia testa mi immagino uno stormo di B52 pieni fino all'orlo di Napalm sorvolare la Vanchiglia e, al momento opportuno, trasformarla in un cumulo di macerie fumanti.
Non era nemmeno divertente giocare PartyCasino.it né rilassarsi o leggere libri. Torniamo al ristorante. Sto cercando di scorrere il menu, ma i discorsi di un tipo seduto a qualche metro da me mi distraggono. Il professorino è al tavolo con una ragazza, e parla, parla, parla senza sosta. L'ha portata al cinese in un penoso tentativo di etnico-a-basso-costo? Fa sfoggio di una cultura appicicaticcia da forse non tutti sanno che. Spara una cazzata dietro l'altra, senza sosta. Le spiega, fatto interessantissimo, che kompass viene dal russo non so cosa e signfica bussola, quell'arnese che segna il nord il sud l'est e l'ovest. Deficiente, la bussola segna solo il nord, gli altri punti li deduci. E poi che fai, lo racconti ad una ragazza? Guarda che non è scema: lo sa cos'è una bussola e a cosa serve. Vorrei alzarmi, avvicinarmi a lui, guardarlo fisso negli occhi e dirgli che se continua di questo passo, al massimo se la può scopare in sogno. Ma nn lo faccio. Voglio vedere fino a che punto è capace di arrivare.Poi la ragazza si alza, e mi passa accanto per raggiungere la toilette. Capisco molte cose.Primo. La ragazza è cinese, motivo per cui il professorino le parlava come si parla ad un'idiota.Secondo. Lui è un idiota. Porti una ragazza cinese in un mediocre ristorante cinese di Torino? Che cosa pernseresti se una ragazza americana ti portasse a mangiare una pizza da Sbarro?
Torno al mio menu. Io adoro i ristoranti cinesi. Sono tranquilli, economici e i camerieri sanno farsi i fatti propri. Sono i luoghi migliori dove rifugiarsi quando si è fatto qualcosa che non andrebbe fatto. Nessuno ti chiede nulla, mangi, paghi ed esci. Fine della transazione. La vita dovrebbe essere un grosso ristorante cinese, con i mobili laccati e il bagno pulito. Invece somiglia ad una mensa affollata e rumorosa.
Il menu. Mi accorgo che, nonostante gli sforzi profusi, tendo a ordinare gli stessi sei-sette piatti. Panino cinese al vapore, pollo con le mandorle, riso con i gamberi. Ci sono decine di pietanze di maiale, vitello e soia che non riescono a persuadermi. Nulla da fare. Prenderò il panino cinese e il solito pollo alle mandorle. Non ho voglia di farmi stupire. Il professorino ha ripreso a sfoggiare la sua erudizione da figlio di papà, la ragazza reprime uno sbadiglio. Il cameriere mi porta il mio pollo alle mandorle.
Va tutto bene.
14 marzo 2007
Ian McEwan, Il giardino di cemento.
Per la serie I migliori libri della mia vita (fino a qui), comincio con questo inquietante romanzo di McEwan.
Durante una torrida estate inglese, dato climatico che contribuisce a creare un'atmosfera pesante e morboso, quattro fratelli adolescenti che rimangono orfani: indifferenti alla morte del padre, pensano quindi di occultare il cadavere della madre, donna fragile e assente, in una colata di cemento.
La vita nella casa, sperduta in una squallida periferia, è ora affidata a Jack e Julie, i più cresciuti, che menano un'esistenza turbolenta e morbosa, dividendosi tra approcci incestuosi e atteggiamenti di sadismo, nell'indifferenza del mondo esterno. Un mondo, normalmente fatto di vicini, parenti, amici, istituzioni, che pare completamente assente o troppo impegnato per curarsi di quattro ragazzini allo sbando.
Il susseguirsi dei giorni è la ricerca empirica e dolorosa dell'identità sessuale, lo sfogo degli istinti in assenza di vincoli e costrizioni, la metafora dei rischi di una comunità senza regole.
Anziché cercare un aiuto dal mondo esterno, i ragazzi alzano un muro per difendersi da sguardi indiscreti.
Il giardino di cemento è una lettura ghiotta per gli affamati di atmosfere surreali e morbose: McEwan è ed è sempre stato bravissimo a descrivere lo stato d'animo e le fantasie dei bambino, anche quelle più recondite e spiazzanti. Il rapporto tra Jack e Julie sfocerà nell'incesto, mentre ai fratellini non lesinano giochi sadici e attenzioni pruriginose.
Eppure in questo libro non ci sono buoni né cattivi. Ci sono degli innocenti che, privi di qualunque guida morale e spirituale e senza limiti e regole, intraprendono un tortuoso percorso per definire la propria identità di ruolo e di genere, per fare conoscenza del proprio corpo, per sopravvivere.
Nel grande e desolato giardino di cemento, metafora dell'anomia del vivere contemporaneo, i ragazzini non commettono peccato né meritano condanne perché, lasciati soli, non sono in grado di distinguere il bene dal male, così come lo intendiamo secondo i canoni della morale cristiana o dell'autorità costituita.
Durante una torrida estate inglese, dato climatico che contribuisce a creare un'atmosfera pesante e morboso, quattro fratelli adolescenti che rimangono orfani: indifferenti alla morte del padre, pensano quindi di occultare il cadavere della madre, donna fragile e assente, in una colata di cemento.
La vita nella casa, sperduta in una squallida periferia, è ora affidata a Jack e Julie, i più cresciuti, che menano un'esistenza turbolenta e morbosa, dividendosi tra approcci incestuosi e atteggiamenti di sadismo, nell'indifferenza del mondo esterno. Un mondo, normalmente fatto di vicini, parenti, amici, istituzioni, che pare completamente assente o troppo impegnato per curarsi di quattro ragazzini allo sbando.
Il susseguirsi dei giorni è la ricerca empirica e dolorosa dell'identità sessuale, lo sfogo degli istinti in assenza di vincoli e costrizioni, la metafora dei rischi di una comunità senza regole.
Anziché cercare un aiuto dal mondo esterno, i ragazzi alzano un muro per difendersi da sguardi indiscreti.
Il giardino di cemento è una lettura ghiotta per gli affamati di atmosfere surreali e morbose: McEwan è ed è sempre stato bravissimo a descrivere lo stato d'animo e le fantasie dei bambino, anche quelle più recondite e spiazzanti. Il rapporto tra Jack e Julie sfocerà nell'incesto, mentre ai fratellini non lesinano giochi sadici e attenzioni pruriginose.
Eppure in questo libro non ci sono buoni né cattivi. Ci sono degli innocenti che, privi di qualunque guida morale e spirituale e senza limiti e regole, intraprendono un tortuoso percorso per definire la propria identità di ruolo e di genere, per fare conoscenza del proprio corpo, per sopravvivere.
Nel grande e desolato giardino di cemento, metafora dell'anomia del vivere contemporaneo, i ragazzini non commettono peccato né meritano condanne perché, lasciati soli, non sono in grado di distinguere il bene dal male, così come lo intendiamo secondo i canoni della morale cristiana o dell'autorità costituita.
Dagli alla Telecom.
Perché Repubblica, sempre solerte a dare addosso a Telecom Italia, non spreca una riga una per scrivere che, a volte, anche il grande nemico è oggetto di truffe (e non da poco)?
Non è che a prendere le parti del padrone io abbia da guadagnarci qualcosa. E' solo che non mi piace questo continuo e sfacciato doppiopesismo del quotidiano romano che, ormai è chiaro, ha rinunciato a dare informazioni e cerca solo di screditare un'azienda (che ha le sue colpe, sia chiaro).
Ma non bastavano le vaccate del giullare di Sant'Ilario? (Un inciso. Prima di fare il paladino della class action, almeno una volta nella vita, prova a lavorare.)
Non è che a prendere le parti del padrone io abbia da guadagnarci qualcosa. E' solo che non mi piace questo continuo e sfacciato doppiopesismo del quotidiano romano che, ormai è chiaro, ha rinunciato a dare informazioni e cerca solo di screditare un'azienda (che ha le sue colpe, sia chiaro).
Ma non bastavano le vaccate del giullare di Sant'Ilario? (Un inciso. Prima di fare il paladino della class action, almeno una volta nella vita, prova a lavorare.)
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