A Genova è estate, più estate che a Torino.
Me ne sono accorto quando sono andato a prendere la Vespa dal garage, e mi sono messo nel traffico cittadino: ai semafori, le ragazze in scooter hanno la pelle abbronzata e i capelli più chiari.
Il giorno a Genova vcomincia presto, e con riti antichi. Poco dopo le 7 in via Albaro la gente è già per strada: chi dal fornaio a comprare pane e focaccia, chi alla fermata dell'autobus, chi in edicola a comprare il Secolo XIX.
Ma girare col Secolo sottobraccio, fermarsi all'attraversamento per tentare di scorgere qualche faccia nota e fare rientro a casa passando davanti ai fiori di Pittaluga sono piaceri che non mi concedevo da tempo immemore.
Come fermarmi in chiesa.
Prima delle 8, la chiesa di San Francesco d'Albaro è inaspettatatmente frequentata: nella penombra profumata d'incenso, ci sono beghine, ragazzi in t-shirt e manager abbronazati con il Rolex, ognuno col proprio tempo e il proprio modo.
La chiesa è anche il campetto della parrocchia dove hanno giocato a pallone con il Tango (quando andava bene) o il Supertele (più frequentemente) decine di generazioni, e se non era la partita di calcetto era il pomeriggio con l'azione cattolica.
Sala in cui gli amichetti più fortunati occupavano le ultime file (le prime tre erano in legno) per limonare con la ragazzina del momento.
Insomma, erano cose. Cose che non rivedevo da una vita.