07 marzo 2006

Storia di un manico/3.

Terza parte.

Con la seconda parte di questa mini serie eravamo rimasti all'intervento di falegnameria (effettuato con successo) per ridurre l'altezza del manico.
Rimanevano due attività da svolgere:
  1. tappare i fori esistenti
  2. creare i nuovi fori per il montaggio.
Ecco come si presentava il manico dopo i primi interventi di finitura e prima delle modifiche ai fori di fissaggio:



Un amico conosciuto sul newsgroup, a sua volta musicista e liutaio, mi ha fatto una sorpresona fornendomi una serie di spine di acero tornite a mano, di diametri e lunghezze diverse.
Ho quindi misurato con il calibro la profondità dei fori pre esistenti e ho tagliato porzioni di spine della lunghezza desiderata (con una tolleranza di qualche decimo di mm in più).
Quindi ho rifinito la superficie delle spine con carta vetrata dalla grana fine (400) fino ad ottenere il diametro desiderato (esattamente 4 mm), ripetendo l'operazione per le 4 spine necessarie.
Ho inserito un goccia di colla vinilica nei fori del manico e spalmato un po' di colla anche sulle spine. Successivamente ho inserito la prima spina nel foro aiutandomi con qualche copetto di martello fino al completo inserimento, avendo cura di eliminare l'eccesso di colla vinilica dalla superficie del legno.

La fotografia seguente mostra l'aspetto di una spina lavorata e pronta all'uso, e di una spina già inserita nel legno.

Una volta nserita la spina, essa sporge di poco dalla superficie del manico; pertanto occorre spianarla con una piccola lima e con carta a vetro fino a raggiungere il livello della basa. L'immagine seguente il lavoro ultimato: la spina è stata spianata a livello della superficie del manico ed è pronta per asciugare e adattarsi al corpo ospite.

Per lavorare in tutta sicurezza ho fissato il manico al tavolo da lavoro con un morsetto da falegname.

Ecco un altro dettaglio del lavoro terminato: le quattro spine sono state inserite, incollate e spianate. La superficie del manico è stata nuovamente trattata con carta a vetro finissima.


Il prossimo passo consiste nel praticare i quattro fori nella posizione corretta. L'idea iniziale consisteva nell'utilizzare un telaietto di carta di spagna sagomato seconda la forma e la posizione dei fori da praticare.



Ma una volta fissata la sagoma al manico, non ho avuto la sensazione di sicurezza che mi aspettavo. La sagoma si presenta troppo leggera e rischia di muoversi sul legno facendomi sbagliare il foro.
Pertanto ho evitato questo rischio e ho accantonato l'idea di utilizzare la sagoma di ottone.
Ho quindi optato per una nuova idea: con l'ausilio di un morsetto da falegname ho fissato saldamente il manico nel nack pocket del corpo della chitarra, ovvero nella sua posizione normale. Dopo essermi assicurato della correttezza della sua posizione e dell'accoppiamento manico-corpo, ho cominciato a praticare quattro fori con una punta molto sottile (2 mm) attraverso i fori presenti sull'attacco del corpo, dove vengono inserite le viti di fissaggio. La piccola punta del trapano è stata avvolta con carta adesiva al fine di creare lo spessore necessario per praticare fori centrati rispetto al foro di partenza. Questo mi ha evitato l'errore di praticare fori eccentrici. Con molta cautela ho utilizzato successivamente una punta più grande (3 mm) ottenendo i quattro fori nei punti desiderati.

Il risultato ha soddisfatto le aspettative e mi ha permesso di effettuare una prima prova di compatibilità avvitando il manico al corpo. Il risultato ha dato esito positivo, pertanto sono passato alla fase di verniciatura.
Dopo aver rifinito ancora una volta con carata vetrata 400 la superifice della base del manico, ho proceduto a mascherare la parte già verniciata del manico e la tastiera, quindi ho passato tre mani di vernice nitro sulla superficie grezza, ottenendo l'effetto laccato già presente sul manico.
Purtroppo la qualità delle foo non rende giustizia al lavoro eseguito.





Lasciata essicare la vernice è stato quindi possibile avvitare il manico al corpo, effettuare il setup e l'intonazione e, con grande soddisfazione, dichiarare felicemente conclusa la miniserie del manico scalloped.




Fine della terza e ultima parte.

06 marzo 2006

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Spedizione a carico dell'acquirente. Imballo maniacale. Pagamento con bonifico bancario.
Per qualsiasi domanda, scrivetemi.

03 marzo 2006

Duevirgolacinque.


Secondo rialzo della BCE in tre mesi. D'altronde si sapeva, si sapeva eccome. Tre anni fa i tassi erano al minimo storico. Uno ci spera sempre, ma non si poteva festeggiare all'infinito.
Io, matita dietro l'orecchio, ci perdo quei 200 euro l'anno. I soliti noti (commercianti, professionisti ecc.) correranno ai ripari con il metodo consolidato: evaderanno il fisco per qualche euro in più. Non li vorremo mica costringere a farci pagare pizza e cocacola più degli attuali ed onestissimi 15 euro, no?
E io pago.

Aggiornamento. Ci sono andato un po' troppo leggero. Quindi rettifico: per fronteggiare l'aumento dei tassi di interesse, i ristoratori si impegneranno tanto ad aumentare l'evasione fiscale quanto ad aumentare ancora i prezzi. Loro sì, che ci sanno fare.

02 marzo 2006

La fine della pellicola e del progresso.


Senza troppi indugi, l'editoriale di PC professionale di marzo afferma che il superamento del digitale sulla pellicola è avvenuto nel 2002 e che il processo sarà completato entro il 2009 -- possiamo interpretare questa frase come "la pellicola sparirà dalla circolazione" o simili.

Le pagine seguenti ci offrono le solite prove delle point and shoot -- limitatissime nelle funzioni -- che però non costano meno di 3-400 euro.
Per chi vuole di più -- cioè avere le stesse funzioni offerte da una reflex da 100 euro, deve spenderne almeno 10 volte tanto. Sto parlando dell'equivalente di uno stipendio medio.

Voglio fare il marxista fino in fondo. A prescindere dagli indubbi vantaggi e comodità offerte dal digitale, il passaggio obbligato e unidirezionale dall'analogico al digitale è la creazione (sovrastrutturale) di bisogni indotti che genera, ancora una volta, un cleavage forte e insanabile tra chi può permettersi di esporsi con una spesa non indifferente per proseguire un'attività anche solo dilettantistica se non semi-professionali, e chi è rassegnato a stare a guardare mentre gli strumenti del proprio lavoro vengono forzosamente considerati inadeguati e non più utilizzabili.

Si diffondono come il cancro, quindi, le lusinghe demoniache del microcredito e del credito al consumo, che privano i consumatori della loro dignità prima ancora che dei loro risparmi, e accrescono enormemente le ricchezze di gruppi finanziari di dubbia moralità.

Il progresso, si diceva, è tale solo se sono molti a goderne i frutti. In questo caso, e in questo tempo, sono sempre le grandi corporation e le finanziarie a godere del frutto di un progresso che è regresso perché non porta anche ad uno progresso morale.

Immortale e tragicamente vera la profezia di Pasolini: "Io credo nel progresso, non credo nello sviluppo!"

01 marzo 2006

[Cantine.org] Suburban Base - EP 2004


Sto ascoltando il primo EP (datato marzo 2004) dei Suburban Base. E' un ascolto retrospettivo, perché nel frattempo la band milanese, formatasi nel 2003, ha continuato per la propria strada, con il CD "Sublimation" del 2006 (per la Full stroke records) e una nutrita serie di date nel nord Italia.
Com'erano i Suburban Base due anni fa? Bravi, compatti e potenti, e anche con qualcosa da dire (in inglese). L'EP è confezionato con cura: arrangiamenti solidi e articolati, chitarre belle grosse, cori e piatti che volano da tutte le parti. Un rock duro, che mi ha ricordato i GBH dei primissimi '90: ma loro, a rff pesanti e veloci, aggiungono raffinatezza compositiva e testi non banali.
"Puoi sentire le mie ferite?", chiede il vocalist Abele "Vecchio" Sangiorgio. Sì, le sento e sembrano vere, e sincere. Perché questo EP è suonato con il cuore e con il cervello. Ogni cosa è a suo posto, un progetto maturo; ma i Suburban Base fanno di più: nella bellissima "My last new day" inseriscono un quartetto d'archi e un pianoforte acustico. Il risultato è intenso, dolce e malinconico: mai lezioso, mai ruffiano. E' solo una pausa. Il rock, quello duro, riprende con "Clean plash" che chiude in bellezza l'EP.
La curiosità, adesso, è grande: come saranno i Suburban Base oggi, a due anni dal loro debutto? Azzardo un'ipotesi: più bravi, più compatti e più potenti.

www.suburbanbase.it

TRACKLIST:

1 Stolen lies
2 Run of the world
3 Taste
4 New last day
5 Clean plash

27 febbraio 2006

Mi sono innamorato.

Qualcuno si è chiesto se sono sparito? Probabilmente no. E comunque: niente da fare, non è facile togliermi di torno.
La verità è che mi sono innamorato e quando uno si innamora fa un po' l'egoista e tende a trascurare tutto, amici e nemici, per dedicarsi al nuovo amore.
Eccola, la luce dei miei occhi e soprattutto delle mie orecchie.
25 watt, interamente valvolare, cono da 12", riverbero a molla. Costruzione artiginale, made in Brazil, ha il ritmo dentro.



Ho trascurato il resto? Voi fareste lo stesso.

16 febbraio 2006

Olimpia a Milano: il photoblog.

Grande successo ieri sera alla Fabbrica del Vapore per l'inaugurazione di Olimpia di Fulvio Bortolozzo.
Ed ecco, per presenti ed assenti, le immagini scattate prima e durante l'evento.

Fulvio si prepara ad allestire la mostra.


Ultimi ritocchi, e che tutto sia in bolla!


Vaghe somiglianze...


Delio e la sua mano.


Franco e la sua Nikon.


Gianni "the veteran".


Alfonso e il maestro in posa prima dell'inaugurazione.


Mariella che ha sfornato le torte.


Piero (traditore delle Leica) sorride soddisfatto.


Non sembra, ma gongolo tra le due neotopografie sabaude.


Fulvio parla: che strano...


Nelle foto mancano gli affezionati iafiner accorsi all'evento, che qui cito in rigoroso ordine sparso: Gelatina, Il Ventu, Cristoforo, Geco, AndreA, Dogbert...

Chi volesse pubblicare altre foto della serata può mandarmele per email.

Si ringrazia Bortolozzo per tutte le immagini, proprio tutte.

14 febbraio 2006

Anno Domini 2006.

1.

Uscendo di casa ho visto le due testimoni di Geova. Si aggiravano per la via, discutendo di chissà quali panzane. Vestite di scuro, ben truccate, sempre molto carine. Ero un po' di fretta, altrimenti le avrei convinte che, sotto sotto, sono anche un po' induista.

2.

- Buongiorno, sono Piersantelli. Posso parlare con il geometra?
- (pausa) Il geometra ora non c'è.
- Ho ricevuto la convocazione per l'assemblea di condominio. Volevo sapere se posso mandare la delega via email...
- (pausa lunga) Sì, può mandare la delega via fax...
- Veramente le ho chiesto se posso mandarla per email
- (pausa terrorizzata) Credo che abbiamo la email, ma ora non so il numero.
- Sì, vabbè, buonanotte. Le mando il fax.

12 febbraio 2006

Genova perché.


Da quando vivo a Torino la mia presenza a Genova è diventata episodica. Questo mi permette di gustare certe piccole cose della mia città di mare che un tempo davo per scontate e che in terra sabauda non sono riuscito a ritrovare. È un bel sabato pieno di sole, questo sabato, ed è ancora più bello camminare sotto al cielo blu Fuji Velvia perché ho potuto assaporare alcuni degli aspetti per cui vale la pena vivere a Genova.

I punkabbestia.
Sarà perché mi muovo poco da casa, ma a Torino i punkabbestia non li vedo mai. Anzi, credo di non averli mai visti. Io penso che in parte sia colpa del freddo. Genova, con il suo clima mite e i suoi vicoli riparati, accoglie come un ventre generoso queste curiose specie di ominidi (o presunti tali) che vivono in simbiosi con numerosi cani più o meno portatori di pulci e zecche. I punkabbestia sono tutti uguali: sui vent'anni, capelli sporchi attorcigliati in trecce, piercing ovunque. L'uniforme è rigorosamente serializzata: pantaloni extra large bisunti, coperte, maglioni sdruciti; la dotazione di serie comprende un bicchiere McDonalds per gli spiccioli e un cartone di Tavernello. E' lecito sospettare che esista una linea di abbigliamento dedicata solo a loro. Vivono per lo più elargendo grandi e sdentati sorrisi in cambio di elemosine, mentre mute di cani sonnecchiano acciambellati ai loro piedi, grattandosi, di tanto in tanto, qualche rogna sul collo. I due esemplari di punkabbestia che ho osservato oggi in Piazza de Ferrari, di sesso imprecisato e fatti come biglie, stavano aizzandosi i cani a vicenda e ridevano sguaiatamente molto compresi nel loro ruolo di reietti volontari.

Le risse.
A Genova sono sempre volate botte da orbi. Di quelle in vecchio stile, mica roba da ridere. Oggi stavo scendendo in Via San Lorenzo, il cui suolo pubblico era occupato da una mezza dozzina di banchetti di punkabbestia intenti a vendere irrinunciabili ammenicoli di fil di ferro, pipe per fumare hashish e altro ciarpame, quando mi trovo testimone di una scena cui non assistevo da anni. Con uno scatto da centometrista, due giovani punkabbestia si gettano verso un banchetto poco distante, e nei primissimi istanti sembra che stiano correndo insieme: ma in realtà il n°1 corre e il n° 2 lo rincorre. Giunto alla meta, il punkabbestia n°1 lancia in aria il banchetto con tutta la mercanzia che, dopo un breve volo, soggiace alla legge di Newton rovinando sul sagrato. Gli altri punkabbestia presenti bloccano a terra il n°1 mentre il n°2 - che si scopre essere (o essere stato) di sesso vagamente femminile - gli sferra una serie di calci in faccia, uno dietro l'altro. A sedare la rissa accorrono subito un vigile urbano, un finanziere, un volontario della Croce Bianca e due anziani pensionati di Sampierdarena che stavano comprando un pezzo di fociaccia con le olive: quest'improvvisata compagine con non poco sforzo salva il punkabbestia n°1 dal linciaggio degli altri ambulanti, che nel fattempo minacciano denunce e querele e richieste di risarcimento. Passo dopo un'ora e sono ancora lì a ratellare (litigare, NdA) su chi ha torto e chi ha ragione.

Figge de famiggia.
Categoria esclusivamente genovese, le ragazze di buona famiglia provengono da lussuosi appartamenti in Albaro e Catelletto, e sono facilmente individuabili per alcuni segni particolari, altrove non reperibili, che le rendono uniche negli esseri di sesso femminile: capelli con meches di colore e lunghezza prefissata con norma UNI-EN-ISO9001, occhiale con montatura rettangolare, Rolex di serie, abbilgliamento sobrio ma ricercato, tacchi bassi, borsa di Louis Vuitton da un lato e sacchetto di Ghiglino dall'altro, repertorio di pettegolezzi da spifferare con naturale eleganza. Dall'eta scolare a quella nuziale, le figge di famiggia sono territorio esclusivo di caccia degli esemplari maschi di pari o superiore lignaggio con i quali si accoppiano di rado e silenziosamente, e solo dopo approfondite indagini sulla situazione finanziaria. Quando le figge de famiggia raggiungono i trent'anni, diventano pressoché indistinguibili dalle inossidabili madri alle quali si accompagnano spesso per i necessari approvvigionamenti in pochi, fidatissimi negozi, dove vengono accolte e chiamate con vezzosi soprannomi (Cuchi e Chicca vanno per la maggiore). Superati i trenta, le femmine si riproducono dando alla luce piccoli esemplari che vengono di norma portati all'asilo a bordo di enormi fuoristrada con vetri oscurati, in perenne divieto di sosta: le anziane ma immortali madri occupano il posto del passeggero e attirano nell'abitacolo sprovveduti vigili urbani che, sovente, vengono ingoiati interi, e ancora vivi. Addendum: le figge di famiggia, così descritte, non hanno molto sex appeal. Eppure, ogni volta che ne vedo una, qualcosa mi ribolle all'interno.

Il negoziante sprovvisto.
Un'altra caratteristica di Genova sono i negozi che non hanno mai l'articolo che cerchi ma possiedono la ferrea certezza dell'inesistenza o dell'irreperibilità dell'articolo cercato. Ad esempio, oggi sono andato in un negozio di strumenti musicali e ho chiesto alcune comunissime viti per fissare il battipenna della chitarra. Viti di metallo. Dopo una riflessione, il commerciante ha consluso che no, non aveva quelle viti né sapeva dove avrei potuto comprarle e se non le ha lui non le ha nessuno, anzi forse sì, perché secondo una leggenda tramandata oralmente, un negozio nei pressi di Torino, ma non saprebbe essere più preciso di così, dovrebbe avere delle viti, forse non quelle che stavo cercando, magari simili, ma non è detto. E comunque, essendo il giorno 11 del mese di febbraio, aveva era ancora un po' disorientato dalla chiusura natalizia e mi ha pregato pertanto di portare via il belino, elegante espressione del vernacolo genovese utilizzata per accomiatarsi dall'ospite.