Sabato scorso ho avuto un incidente stradale. A Genova. Un ragazzino a bordo di uno scooter con la sua giovane fidanzatina ha visto bene di speronare la mia Vespa. I piccioncini sono caduti, lui si è messo a gridare come un ossesso, poi ha voluto l'ambulanza del 118 la visita al pronto soccorso dove con tutta probabilità gli avranno detto che hanno ben altro da fare che dare retta a tutti i cretini imberbi che non sanno guidare uno scooter di plastica.
Ma tant'è. Per farmi finire male anche qeusta settimana, mi ha costretto a leggere le sue stronzate a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno in cui afferma che la colpa è mia. E' chiaro come il sole: mi tampona ma poi gli spiace ammettere di essere il coglioncello che è e quindi chiede a qualche amico parafanghista di preparargli la letterina. Con dovizia di particolari: poverino, nella caduta gli si è rotto pure il cellulare e il maglioncino che fa così alternativo.
La cosa divertente è che immediatamente dopo l'incidente mi ha fatto una specie di velata minaccia del tipo Adesso spera che la mia ragazza non mi lasci per questo. Era scosso, il bambino, e ho lasciato cadere la cosa. Ma in cuor mio volevo rispondergli che la sua fidanzatina lo lascerà comunque e presto, e per motivi meno contingenti di una caduta dalla moto: per i graffi ci sono i cerotti, per la stupidità c'è ben poco da fare.
Contento lui.
04 novembre 2005
02 novembre 2005
Fuoriposto.
I miei amici guadagnano più di me. E guadagneranno molto più di me.
I miei amici hanno studiato duro mentre io facevo naufragio. Una volta tornato a riva, loro erano già lontani.
I miei amici bevono Martini e Rhum e Vodka e parlano di Treseghé; non so come si scrive ma loro dicono proprio così, Treseghé. E io non ho nulla da dire su Treseghé.
I miei amici comprano immobili, mobili ed automobili, poi li riempiono di libri, bottiglie, quadri e valigie ed altri amici che hanno un sacco di cose.
I miei amici giocano a fare il padre e la madre, e non sanno quanto io li vorrei qui, mio padre e mia madre.
I miei amici fotografano i bambini dall'alto e io vorrei dire loro che occorre essere alla stessa altezza del soggetto ma lascio perdere: io sono quello dei parcheggi di periferia.
Io sto lì, girando lo sguardo da una parte all'altra. C'è ben poco che io possa fare o aggiungere a questa nebbia fitta di discorsi.
Appoggio la testa ad un divano costoso.
Là sotto, in strada, non passa nessuno.
I miei amici hanno studiato duro mentre io facevo naufragio. Una volta tornato a riva, loro erano già lontani.
I miei amici bevono Martini e Rhum e Vodka e parlano di Treseghé; non so come si scrive ma loro dicono proprio così, Treseghé. E io non ho nulla da dire su Treseghé.
I miei amici comprano immobili, mobili ed automobili, poi li riempiono di libri, bottiglie, quadri e valigie ed altri amici che hanno un sacco di cose.
I miei amici giocano a fare il padre e la madre, e non sanno quanto io li vorrei qui, mio padre e mia madre.
I miei amici fotografano i bambini dall'alto e io vorrei dire loro che occorre essere alla stessa altezza del soggetto ma lascio perdere: io sono quello dei parcheggi di periferia.
Io sto lì, girando lo sguardo da una parte all'altra. C'è ben poco che io possa fare o aggiungere a questa nebbia fitta di discorsi.
Appoggio la testa ad un divano costoso.
Là sotto, in strada, non passa nessuno.
27 ottobre 2005
Postcards from London.
Vada per la Union jack. E lo scrivo da un Internet point scelto per il prezzo (£1 per 2 ore). Solo che siamo stipati su due piani, stretti stretti come i polli d'allevamento, e mi chiedo: "se scoppi un incendio qua dentro, quante probabilita' ho di tornare a casa dentro una cassa di pino?". Parecchia, a occhio e croce. Speriamo bene.
Questa e' la terza volta a Londra dall'inizio dell'anno. La mia buona stella ha fatto si' che non ci siano stati (ancora) attentati o altre piacevolezze. Additionally, c'e' stato un problema con gli organizzatori della conferenza, il che mi ha permesso di esercitare l'uso del sarcasmo in lingua inglese e forse di ottenere un bonus per un altra conferenza. Staremo a vedere.
A parte questo, una bella scoperta. Denmark street pullula di negozi di strumenti musicali che sembrano l'esatto contrario di quelli italiani: entri e ti dicono "If you wanna try the guitars, feel at home!" mentre da noi la frase standard e' "se non la compri non la puoi provare, pezzente che non sei altro" o simili.
Ovviamente Londra non e' solo belle soprese: ci sono anche le solite orribili certezze, come il cibo che, in qualunque sua forma e preparazone, lascia sulla lingua una disgustosa moquette biancastra, resistente ad ogni tentativo di abrsaione. Poi ci sono gli inglesi con la loro cadenza british, i quali non fanno alcun sforze per rinunciare al loro parlare sincopato e snob. Pazienza, quando non si capisce qualcosa, basta sorridere e rispondere loro "it would be nice!", per loro e' lo stesso. A voler salvare gli inglesi, c'e' che ti aiutano: e' sufficiente fermarsi su un marciapiede con una mappa in mano e un volenteroso spilungone con i capelli chiari e le efelidi ti chiedera' se hai bisogno d'aiuto perche' anche lui una volta ha stampato una mappa di Londra da mapquest.com e si e' perso. Se si perde lui...
Non mi resta che lasciare l'Internet point prima che da qualche vecchio Pentium parta la fatale scintilla, avviarmi verso Soho, sbavare davanti a qualche p o r n o star che presneta l'ultimo DVD, trovare un ristorante sotto le 20 £ e quindi tornare in albergo per la consueta abrasione serale della lingua.
Questa e' la terza volta a Londra dall'inizio dell'anno. La mia buona stella ha fatto si' che non ci siano stati (ancora) attentati o altre piacevolezze. Additionally, c'e' stato un problema con gli organizzatori della conferenza, il che mi ha permesso di esercitare l'uso del sarcasmo in lingua inglese e forse di ottenere un bonus per un altra conferenza. Staremo a vedere.
A parte questo, una bella scoperta. Denmark street pullula di negozi di strumenti musicali che sembrano l'esatto contrario di quelli italiani: entri e ti dicono "If you wanna try the guitars, feel at home!" mentre da noi la frase standard e' "se non la compri non la puoi provare, pezzente che non sei altro" o simili.
Ovviamente Londra non e' solo belle soprese: ci sono anche le solite orribili certezze, come il cibo che, in qualunque sua forma e preparazone, lascia sulla lingua una disgustosa moquette biancastra, resistente ad ogni tentativo di abrsaione. Poi ci sono gli inglesi con la loro cadenza british, i quali non fanno alcun sforze per rinunciare al loro parlare sincopato e snob. Pazienza, quando non si capisce qualcosa, basta sorridere e rispondere loro "it would be nice!", per loro e' lo stesso. A voler salvare gli inglesi, c'e' che ti aiutano: e' sufficiente fermarsi su un marciapiede con una mappa in mano e un volenteroso spilungone con i capelli chiari e le efelidi ti chiedera' se hai bisogno d'aiuto perche' anche lui una volta ha stampato una mappa di Londra da mapquest.com e si e' perso. Se si perde lui...
Non mi resta che lasciare l'Internet point prima che da qualche vecchio Pentium parta la fatale scintilla, avviarmi verso Soho, sbavare davanti a qualche p o r n o star che presneta l'ultimo DVD, trovare un ristorante sotto le 20 £ e quindi tornare in albergo per la consueta abrasione serale della lingua.
25 ottobre 2005
Io allo specchio.
Quello che vedete in posa sono io davanti allo specchio mentre cerco di imprimere sul mio volto un'espressione simpatica.
Quello che vedete alle mie spalle è il rivestimento del mio bagno, e a quei ganci appendo l'accappatoio. Sì, avete visto giusto: è perfettamente in bolla.
Quella che vedete davanti a me -- e grazie alla quale vedete me -- è la mia macchina fotografica.
Quella che vedete addosso a me è una t-shirt bianca Levi's acquistata in confezione da 3 (L. 16.000) presso la jeanseria Olmeda di Genova nel 1989, e tuttora in discrete condizioni (la t-shirt, non la jeanseria).
Foto: Nikon F e Nikkor 35 f11, scansione da pellicola negativa.
Quello che vedete alle mie spalle è il rivestimento del mio bagno, e a quei ganci appendo l'accappatoio. Sì, avete visto giusto: è perfettamente in bolla.
Quella che vedete davanti a me -- e grazie alla quale vedete me -- è la mia macchina fotografica.
Quella che vedete addosso a me è una t-shirt bianca Levi's acquistata in confezione da 3 (L. 16.000) presso la jeanseria Olmeda di Genova nel 1989, e tuttora in discrete condizioni (la t-shirt, non la jeanseria).
Foto: Nikon F e Nikkor 35 f11, scansione da pellicola negativa.
Settimo (interno) notte.
- Nella cassetta delle lettere ho trovato il catalogo Ikea degli addobbi natalizi. Un brivido di paura mi è corso lungo la schiena.
- Il comico scherza, finge di incassare il colpo, ma in realtà soffre di non essere nella lista: dopo aver fatto tanto casino e aver speso soldi non suoi farebbe bene ad ammettere di aver fallito.
- Domani parto per Londra, terza volta dall'inizio del'anno. Spero che non ci siano bombe perché, se disgraziatamente ci lasciassi le penne, non credo che m'intitolerebbero una piazza.
- Sulla Rai, Minoli o un suo clone ha strillato un documentario su Vallanzasca. Qua e là, la regia ha mostrato un certo tono compiaciuto per quella malavita che rispettava le regole dell'onore. Vallazasca, parlando del suo socio detto il Drago: "Piuttosto che sparare alla schiena si sarebbe fato ammazzare."
- E' passata l'una del mattino e sto ancora riempiendo la valigia: due camicie, ombrello da viaggio, La possibilità di un'isola.
Foto: cantiere Via Livorno, settembre 2005. Nikon F, Nikkor 24mm f8, scansione da pellicola negativa caduta in garage (e pertanto rigata).
24 ottobre 2005
Qualcosa da nascondere.
La prima sensazione, uscendo dalla sala in cui hanno proiettato Niente da nascondere, è stata una infastidita delusione: mi è sembrato che il premio per la miglior regia a Cannes 2005 lo abbiano un po' estratto a sorte. Eppure leggo in rete pareri quasi entusiasti.
Il film inizia con un lungo piano sequenza, inqudratura fissa, assenza di tema musicale. L'unico suono è il rumore della strada. Le voci fuori campo si trasformano nelle voci dei protagonisti che introducono lo spettatore nel vivo della vicenda. Chi spia la coppia? E' davvero Majid, il mancato fratellastro del protagonista (Daniel Auteuil)?
Ma poi la storia si perde per strada con almeno tre (troppi) spunti accennati e non sviluppati: la fuga del figlio dei protagonisti (Pierrot, perché questo nome?), il mistero delle videocassette registrate di nascosto ma da punti di ripresa troppo facilmente individuabili e, infine, l'ultima sequenza con il dialogo tra Pierrot e il figlio di Majid.
Si esce senza sapere che cosa è successo veramente, chi tormentava la famiglia, per chi è stato versato quel sangue. Va bene il gioco del finale aperto, ma le incertezze sono troppe e mi hanno lasciato un senso di incompiuto. Forse la vera colpa è del cinema hollywoodiano che mi ha abituato a lasciare a casa la fnatasia, presentando prodottini facili e pronti da consumare senza alcun sforzo. E ora non sono meno bravo di un tempo a usare la mia immaginazione. Ma la perplessità, di fronte alla pellicola di Haneke, è e rimane molta.
Il film inizia con un lungo piano sequenza, inqudratura fissa, assenza di tema musicale. L'unico suono è il rumore della strada. Le voci fuori campo si trasformano nelle voci dei protagonisti che introducono lo spettatore nel vivo della vicenda. Chi spia la coppia? E' davvero Majid, il mancato fratellastro del protagonista (Daniel Auteuil)?
Ma poi la storia si perde per strada con almeno tre (troppi) spunti accennati e non sviluppati: la fuga del figlio dei protagonisti (Pierrot, perché questo nome?), il mistero delle videocassette registrate di nascosto ma da punti di ripresa troppo facilmente individuabili e, infine, l'ultima sequenza con il dialogo tra Pierrot e il figlio di Majid.
Si esce senza sapere che cosa è successo veramente, chi tormentava la famiglia, per chi è stato versato quel sangue. Va bene il gioco del finale aperto, ma le incertezze sono troppe e mi hanno lasciato un senso di incompiuto. Forse la vera colpa è del cinema hollywoodiano che mi ha abituato a lasciare a casa la fnatasia, presentando prodottini facili e pronti da consumare senza alcun sforzo. E ora non sono meno bravo di un tempo a usare la mia immaginazione. Ma la perplessità, di fronte alla pellicola di Haneke, è e rimane molta.
19 ottobre 2005
Le ceneri di Torino.
18 ottobre 2005
Il pickguard che vorrei/2.
17 ottobre 2005
Al voto, al voto.
Abbiamo votato in 4 milioni. Abbiamo firmato il Manifesto dell'Unione. Abbiamo dato qualche monetina (che, moltiplicato per 4 milioni, è una cifra interessante). Il nostro voto è servito per indicare chi vorremmo come candidato per un governo di centro sinistra. Adesso spero che il nostro gesto si traduca in un programma di governo e non nella consueta propaganda "contro le destre" che, alla fine, si rivela povera di idee e misera di fatti.
14 ottobre 2005
Asini, asini, asini.
La Stampa di oggi, pagina 2. Dialettica da stadio dopo l'approvazione della legge elettorale. Fin qui nulla di nuovo. A raschiare il fondo bisunto del barile ci pensano Flavia Amabile, che firma l'articolo, e (presumibilmente) il caporedattore.
Sottotitolo dell'articolo:
Tre grossi errori in una sola riga:
Primo: difendere è un verbo transitivo. Si dice "Silvio difende qualcuno", non "a qualcuno".
Secondo: a noi ci è un pleonasmo, qui aggravato dal fatto che c'è un'incertezza nel tipo di complemento utilizzato.
Terzo: per definizione, quel Silvio non ha alcuna intenzione di estendere il concetto di difesa al di fuori dei suoi interessi personali, delle sue aziende e, al limite, dei suoi scagnozzi.
Poco importa, ora, sapere a chi attribuire la frase, se alle deputate in questione (la prima un avanzo da avanspettacolo) o alla giornalista.
Il quarto, imperdonabile errore sarebbe spendere altri 90 centesimi per comprare ancora La Stampa.
Sottotitolo dell'articolo:
Solo Carlucci e Bertolini esultano: a noi ci difende Silvio.
Tre grossi errori in una sola riga:
Primo: difendere è un verbo transitivo. Si dice "Silvio difende qualcuno", non "a qualcuno".
Secondo: a noi ci è un pleonasmo, qui aggravato dal fatto che c'è un'incertezza nel tipo di complemento utilizzato.
Terzo: per definizione, quel Silvio non ha alcuna intenzione di estendere il concetto di difesa al di fuori dei suoi interessi personali, delle sue aziende e, al limite, dei suoi scagnozzi.
Poco importa, ora, sapere a chi attribuire la frase, se alle deputate in questione (la prima un avanzo da avanspettacolo) o alla giornalista.
Il quarto, imperdonabile errore sarebbe spendere altri 90 centesimi per comprare ancora La Stampa.
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