Sono tornato da Amsterdam. Tornato da un po', a dire il vero. Si vede che questa città mi ha lasciato senza parola per qualche giorno.
Ho visitato A'dam tre volte. La prima volta avevo 20 anni e un biglietto dell'interrail. Ero così spiantato che per risparmiare dormivo a Utrecht e facevo avanti e indietro in treno, che era compreso nel biglietto interrail, ma dovevo rientrare presto per evitare la stazione nelle ore notturne.
La seconda volta per lavoro come ospite di una conferenza, ma si stava in un albergone in periferia (ospitava i giocatori di Moratti arrivati per Inter-Ajax), si girava in taxi e si usciva con certi manager di certe aziende a parlare di certe cose. Bellissimo, ma molto glamour: voglio dire, cena sul battello, ristoranti chic, camere asettiche. Mi rimane l'impressione che molto della vita di Amsterdam mi sia scivolato via come l'acqua dai canali, lentamente, senza far rumore, senza lasciare traccia.
Questa è stata la volta giusta, quella vera. Ci sono andato per lavoro, ma non il solito viaggio di lavoro, aereo-taxi-albergo. E' stato un po' come essere cittadino di Amsterdam per qualche giorno.
Per prima cosa, non c'era la stanza d'albergo, ma un appartamento in centro, di fronte ad un canale. Un appartamento da famiglia borghese, con un scala ripida per salire al piano superiore, la vetrata del soggiorno a bordo strada e una grande cucina aperta.
Passeggiando per le vie del centro si può curiosare all'interno delle case: salotti con luci soffuse, anziani sprofondatio in poltrone di pelle davanti alla TV, giovani al computer. Le grandi finestre sulla strada raramente sono celate da tende e imposte, e lo sguardo può entrare, osservare, immaginare i vissuti degli altri.
Si direbbe un popolo esibizionista e voyerista, e non a casa il Grande Fratello è stato inventato in Olanda. Invece no: io credo che, prima di tutto, sia gente tollerante, gente che pensa ai fatti propri, motivo per cui non si preoccupa di eventuali sguardi indiscreti.
I cittadini di Amsterdam non usano la macchina, o la usano poco. Girano con la bicicletta: biciclette vecchissime, malconce, arrugginite, addirittura con il freno a retropedale. E noleggiare una bici è un modo eccellente tanto per andare a lavorare quanto per vedere e conoscere la città.
Le piste ciclabili sono ampie, lunghe, presenti in tutte le direttrici principali. Ai semafori ci si concede pause rilassanti, così diverse dalla nevrosi dei semafori rossi quando si è in automobile. Si possono osservare persone comuni che stanno pedalando verso l'ufficio o verso il supermercato. Sulle loro biciclette scassate, hanno tutti un'aria serena, senza complessi. Il mare, anche se non si vede, è vicino e tiene l'aria pulita e fresca e piena di odori. Si arriva alla meta col sorriso e le gambe stanche di una stanchezza sana.
A me la gente in Olanda sembra più matura, più consapevole. Non si vede in giro la fretta di cambiare tutto, di buttare via le cose, di passare al nuovo a tutti i costi. Nelle vie del centro si trovano negozietti di modernariato, bric-a-brac, robivecchi, dove le cose riacquistano valore perché hanno con sé la loro piccola storia.
Ci sono negozi e banchi pieni di profumi, di fiori, di saponi, di forme che non immaginavo e che la mia immaginazione rifiuta, ottenbreta com'è dalla produzione in serie, dagli scaffali delle multinazionali.
Qui si vende il sapone, così com'è, un tanto al chilo, e al massimo lo si fascia in un foglio di carta. Non si vende sapone per assomigliare a qualcuno. Si vendono i fiori perché crescano in un giardino, non perché muoiano in un vaso.
La città ha la stessa calma dell'acqua che scorre nei suoi canali. A bordo di barchini dalla vernice scrostata, famiglie, amici e innamorati avanzano con lentezza sull'acqua, aprono cesti della merenda, ridono, si baciano.