Con questo articolo si conclude la trilogia delle città sull'acqua (Amsterdam, Genova, Roma)
Poco dopo Grosseto, i pini marittimi ai bordi dell'Aurelia diventano una presenza importante, maestosa. E' questo il primo segno che si sta per arrivare a Roma. E poi il vento: abbassando il finestrino dell'auto dopo ore di autostrada e traffico, entra un vento leggero che sa di mare.
Roma non è sul mare. Per vedere il mare c'è Ostia con le sue pinete e le strade dai nomi nuovi, inconsueti: Via Polinesia, Via Molucche. Ma Roma è sull'acqua e l'acqua è una presenza costante, quasi a significare lo scorrere del tempo: un fluire lento come quello del Tevere e dell'Aniene o creativo, come l'acqua dalle mille fontane di Roma.
C'è un'altra corrente che attraversa la città: è la sua gente. A me piace ascotare quello che dice la gente, mi piace passare accanto alle persone, lentamente, e cercare di carpirne i discorsi. La parola Roma è frequente, quasi una necessaria autoaffermazione di chi la abita. Un'affermazione, a volte un po' gridata, dell'essere romani, ovvero parte della storia fondante d'Italia, che piaccia o no.
E allora è facile imbattersi in modi di dire e in scritte che hanno fatto della romanità una religione laica e divertita, che ha i suoi sacerdoti nelle guardie del corpo che aspettano appoggiate alle Mercedes, nei coatti che sfrecciano in scooter, nei commercianti abbronzati del centro.
Ma il cielo è sereno, e tutto si sopporta meglio, soprattutto il traffico. C'è quest'aria fresca che alleggersice tutto, rende i passi più sereni, spensierati.
L'acqua scorre anche dal cielo: una pioggerellina fitta prende il posto del blu del cielo, e scende sottile ma tenace. Di passo in passo, recito - per quel che ricordo - i versi di D'Annunzio:
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri
03 ottobre 2005
27 settembre 2005
Per le strade di Genova.
C'è qualcosa a Genova che altrove non c'è. No, non è solo il mare, sarebbe troppo facile, basterebbe andare a Rimini.
Si cammina con lentezza, la testa fra le nuvole, lungo i marciapedi del porto antico. E' un crocevia di genti, ciascuno con i propri pensieri. L'aria sa di vento e il vento di mare.
Per le vie, si fa festa tra corpi urbani e corpi danzanti.
Mi sento come quest'illusionista, sospeso a mezz'aria con la voglia di spiccare il volo e la paura di non sentire la terra sotto i piedi. Genova, per me migrante e pellegrino, è anche questo.
Ci si ritrova stretti tra la strada piena di auto in corsa e il mare che pare fermo, come morto, ma nelle sue acque scure è vivo.
C'è un posto, a Genova, con una grande terrazza sul mare: le onde non le puoi sentire perché si affaccia sul porto. Ma si sente il resto: il vociare della gente seduta ai tavoli, il rumore dei cantieri navali, le auto che scorrono sulla sopraelevata.
Nonostante sia una sera di fine settembre, l'aria è ancora tiepida, umida di mare. Si potrebbe camminare per sempre, senza arrivare da nessuna parte.
Poco sopra, da Banchi a Soziglia fino ai Macelli, i caruggi si riempiono di passi e discorsi. La notte di Genova non spaventa più nessuno.
Si cammina con lentezza, la testa fra le nuvole, lungo i marciapedi del porto antico. E' un crocevia di genti, ciascuno con i propri pensieri. L'aria sa di vento e il vento di mare.
Per le vie, si fa festa tra corpi urbani e corpi danzanti.
Mi sento come quest'illusionista, sospeso a mezz'aria con la voglia di spiccare il volo e la paura di non sentire la terra sotto i piedi. Genova, per me migrante e pellegrino, è anche questo.
Ci si ritrova stretti tra la strada piena di auto in corsa e il mare che pare fermo, come morto, ma nelle sue acque scure è vivo.
C'è un posto, a Genova, con una grande terrazza sul mare: le onde non le puoi sentire perché si affaccia sul porto. Ma si sente il resto: il vociare della gente seduta ai tavoli, il rumore dei cantieri navali, le auto che scorrono sulla sopraelevata.
Nonostante sia una sera di fine settembre, l'aria è ancora tiepida, umida di mare. Si potrebbe camminare per sempre, senza arrivare da nessuna parte.
Poco sopra, da Banchi a Soziglia fino ai Macelli, i caruggi si riempiono di passi e discorsi. La notte di Genova non spaventa più nessuno.
21 settembre 2005
Uno peggio dell'altro.
Già quel ciccione di Ferrara e il suo finto nemico di Beirut andavano avanti con la manfrina del battibecco per chiudere la trasmissione d'amore e d'accordo.
Evidentemente non era ancora abbastanza. Lerner si è fatto crescere una barbetta ispida sulla sua faccia ossuta, e sembra Ferrara dopo 10 liposuzioni. Hanno la stessa barba, dicono le stesse cose.
Evidentemente non era ancora abbastanza. Lerner si è fatto crescere una barbetta ispida sulla sua faccia ossuta, e sembra Ferrara dopo 10 liposuzioni. Hanno la stessa barba, dicono le stesse cose.
20 settembre 2005
La città sull'acqua.
Sono tornato da Amsterdam. Tornato da un po', a dire il vero. Si vede che questa città mi ha lasciato senza parola per qualche giorno.
Ho visitato A'dam tre volte. La prima volta avevo 20 anni e un biglietto dell'interrail. Ero così spiantato che per risparmiare dormivo a Utrecht e facevo avanti e indietro in treno, che era compreso nel biglietto interrail, ma dovevo rientrare presto per evitare la stazione nelle ore notturne.
La seconda volta per lavoro come ospite di una conferenza, ma si stava in un albergone in periferia (ospitava i giocatori di Moratti arrivati per Inter-Ajax), si girava in taxi e si usciva con certi manager di certe aziende a parlare di certe cose. Bellissimo, ma molto glamour: voglio dire, cena sul battello, ristoranti chic, camere asettiche. Mi rimane l'impressione che molto della vita di Amsterdam mi sia scivolato via come l'acqua dai canali, lentamente, senza far rumore, senza lasciare traccia.
Questa è stata la volta giusta, quella vera. Ci sono andato per lavoro, ma non il solito viaggio di lavoro, aereo-taxi-albergo. E' stato un po' come essere cittadino di Amsterdam per qualche giorno.
Per prima cosa, non c'era la stanza d'albergo, ma un appartamento in centro, di fronte ad un canale. Un appartamento da famiglia borghese, con un scala ripida per salire al piano superiore, la vetrata del soggiorno a bordo strada e una grande cucina aperta.
Passeggiando per le vie del centro si può curiosare all'interno delle case: salotti con luci soffuse, anziani sprofondatio in poltrone di pelle davanti alla TV, giovani al computer. Le grandi finestre sulla strada raramente sono celate da tende e imposte, e lo sguardo può entrare, osservare, immaginare i vissuti degli altri.
Si direbbe un popolo esibizionista e voyerista, e non a casa il Grande Fratello è stato inventato in Olanda. Invece no: io credo che, prima di tutto, sia gente tollerante, gente che pensa ai fatti propri, motivo per cui non si preoccupa di eventuali sguardi indiscreti.
I cittadini di Amsterdam non usano la macchina, o la usano poco. Girano con la bicicletta: biciclette vecchissime, malconce, arrugginite, addirittura con il freno a retropedale. E noleggiare una bici è un modo eccellente tanto per andare a lavorare quanto per vedere e conoscere la città.
Le piste ciclabili sono ampie, lunghe, presenti in tutte le direttrici principali. Ai semafori ci si concede pause rilassanti, così diverse dalla nevrosi dei semafori rossi quando si è in automobile. Si possono osservare persone comuni che stanno pedalando verso l'ufficio o verso il supermercato. Sulle loro biciclette scassate, hanno tutti un'aria serena, senza complessi. Il mare, anche se non si vede, è vicino e tiene l'aria pulita e fresca e piena di odori. Si arriva alla meta col sorriso e le gambe stanche di una stanchezza sana.
A me la gente in Olanda sembra più matura, più consapevole. Non si vede in giro la fretta di cambiare tutto, di buttare via le cose, di passare al nuovo a tutti i costi. Nelle vie del centro si trovano negozietti di modernariato, bric-a-brac, robivecchi, dove le cose riacquistano valore perché hanno con sé la loro piccola storia.
Ci sono negozi e banchi pieni di profumi, di fiori, di saponi, di forme che non immaginavo e che la mia immaginazione rifiuta, ottenbreta com'è dalla produzione in serie, dagli scaffali delle multinazionali.
Qui si vende il sapone, così com'è, un tanto al chilo, e al massimo lo si fascia in un foglio di carta. Non si vende sapone per assomigliare a qualcuno. Si vendono i fiori perché crescano in un giardino, non perché muoiano in un vaso.
La città ha la stessa calma dell'acqua che scorre nei suoi canali. A bordo di barchini dalla vernice scrostata, famiglie, amici e innamorati avanzano con lentezza sull'acqua, aprono cesti della merenda, ridono, si baciano.
Ho visitato A'dam tre volte. La prima volta avevo 20 anni e un biglietto dell'interrail. Ero così spiantato che per risparmiare dormivo a Utrecht e facevo avanti e indietro in treno, che era compreso nel biglietto interrail, ma dovevo rientrare presto per evitare la stazione nelle ore notturne.
La seconda volta per lavoro come ospite di una conferenza, ma si stava in un albergone in periferia (ospitava i giocatori di Moratti arrivati per Inter-Ajax), si girava in taxi e si usciva con certi manager di certe aziende a parlare di certe cose. Bellissimo, ma molto glamour: voglio dire, cena sul battello, ristoranti chic, camere asettiche. Mi rimane l'impressione che molto della vita di Amsterdam mi sia scivolato via come l'acqua dai canali, lentamente, senza far rumore, senza lasciare traccia.
Questa è stata la volta giusta, quella vera. Ci sono andato per lavoro, ma non il solito viaggio di lavoro, aereo-taxi-albergo. E' stato un po' come essere cittadino di Amsterdam per qualche giorno.
Per prima cosa, non c'era la stanza d'albergo, ma un appartamento in centro, di fronte ad un canale. Un appartamento da famiglia borghese, con un scala ripida per salire al piano superiore, la vetrata del soggiorno a bordo strada e una grande cucina aperta.
Passeggiando per le vie del centro si può curiosare all'interno delle case: salotti con luci soffuse, anziani sprofondatio in poltrone di pelle davanti alla TV, giovani al computer. Le grandi finestre sulla strada raramente sono celate da tende e imposte, e lo sguardo può entrare, osservare, immaginare i vissuti degli altri.
Si direbbe un popolo esibizionista e voyerista, e non a casa il Grande Fratello è stato inventato in Olanda. Invece no: io credo che, prima di tutto, sia gente tollerante, gente che pensa ai fatti propri, motivo per cui non si preoccupa di eventuali sguardi indiscreti.
I cittadini di Amsterdam non usano la macchina, o la usano poco. Girano con la bicicletta: biciclette vecchissime, malconce, arrugginite, addirittura con il freno a retropedale. E noleggiare una bici è un modo eccellente tanto per andare a lavorare quanto per vedere e conoscere la città.
Le piste ciclabili sono ampie, lunghe, presenti in tutte le direttrici principali. Ai semafori ci si concede pause rilassanti, così diverse dalla nevrosi dei semafori rossi quando si è in automobile. Si possono osservare persone comuni che stanno pedalando verso l'ufficio o verso il supermercato. Sulle loro biciclette scassate, hanno tutti un'aria serena, senza complessi. Il mare, anche se non si vede, è vicino e tiene l'aria pulita e fresca e piena di odori. Si arriva alla meta col sorriso e le gambe stanche di una stanchezza sana.
A me la gente in Olanda sembra più matura, più consapevole. Non si vede in giro la fretta di cambiare tutto, di buttare via le cose, di passare al nuovo a tutti i costi. Nelle vie del centro si trovano negozietti di modernariato, bric-a-brac, robivecchi, dove le cose riacquistano valore perché hanno con sé la loro piccola storia.
Ci sono negozi e banchi pieni di profumi, di fiori, di saponi, di forme che non immaginavo e che la mia immaginazione rifiuta, ottenbreta com'è dalla produzione in serie, dagli scaffali delle multinazionali.
Qui si vende il sapone, così com'è, un tanto al chilo, e al massimo lo si fascia in un foglio di carta. Non si vende sapone per assomigliare a qualcuno. Si vendono i fiori perché crescano in un giardino, non perché muoiano in un vaso.
La città ha la stessa calma dell'acqua che scorre nei suoi canali. A bordo di barchini dalla vernice scrostata, famiglie, amici e innamorati avanzano con lentezza sull'acqua, aprono cesti della merenda, ridono, si baciano.
08 settembre 2005
Farla fuori dal bulacco.
E' un'espressione tipica della mia città, Genova, che diede i natali, tra l'altro, a Beppe Grillo. Farla (la pipì) fuori dal bulacco significa farla fuori dal secchio (il che ci riporta d una civiltà lontana priva di servizi igienici ma forse ricca di qualche virtù oggi perduta), ovvero esagerare con le spiacevoli conseguenze.
Grillo, genovese, conosce bene il significato di quest'espressione, ma ne ignora il senso. E qualcuno comincia a storcere il naso. Grillo la sta facendo fuori dal bulacco perché se da un lato gode di molta popolarità dall'altro la sua presenza attiva in rete è davvero recentissima (non mi stanco di ricordare che nei suoi spettacoli la definiva Infernet, e gridava Non usatela!).
Adesso Grillo parla del blog come strumento di democrazia diretta (e magari qualche lezione di Scienza politica proprio male non gli farebbe), ma non dei blog in generale: lo dice del suo blog. Val la pena raccogliere ancora qualche euro e regalargli il libro di Granieri, che illustra in maniera chiara e non accademica come i blog (al plurale, ovvero pluralismo, democrazia) stiano modificando la società dell'informazione e il ruolo dei media tradizionali. I blog, non un blog.
Grillo, genovese, conosce bene il significato di quest'espressione, ma ne ignora il senso. E qualcuno comincia a storcere il naso. Grillo la sta facendo fuori dal bulacco perché se da un lato gode di molta popolarità dall'altro la sua presenza attiva in rete è davvero recentissima (non mi stanco di ricordare che nei suoi spettacoli la definiva Infernet, e gridava Non usatela!).
Adesso Grillo parla del blog come strumento di democrazia diretta (e magari qualche lezione di Scienza politica proprio male non gli farebbe), ma non dei blog in generale: lo dice del suo blog. Val la pena raccogliere ancora qualche euro e regalargli il libro di Granieri, che illustra in maniera chiara e non accademica come i blog (al plurale, ovvero pluralismo, democrazia) stiano modificando la società dell'informazione e il ruolo dei media tradizionali. I blog, non un blog.
07 settembre 2005
Beppe sì, Beppe no.
A me Grillo non piace più. Un battito di ciglia fa tuonava contro la rete e i suoi utenti. Oggi se ne autoproclama paladino.
In un post celebra il successo della campagna Fazio Vattene finanziata dai suoi lettori e, con non poca presuzione (al guru non è sfuggito), dichiara di aver dato vita alla democrazia diretta e alla fine della delega in bianco:
E la controinformazione, la conoscenza sono il punto di partenza per la creazione di una democrazia diretta, con la partecipazione dei cittadini, con l’eliminazione della delega in bianco a qualcuno.
Ma poche ore prima che ha fatto?
Avviso per l'appello: Fazio Vattene.
La cifra necessaria è stata raggiunta e superata, nei prossimi giorni vi darò i dettagli.
In seguito alla richiesta di molti blogger, propongo di utilizzare i soldi residui e i versamenti che perverrano da ora in poi per la pubblicazione della lista dei parlamentari condannati in via definitiva.
Molti blogger? Sì? Quanti, in quale percentuale? Ecco, lui la delega vorrebbe toglierla agli altri ma nel frattempo se la prende. Io la chiamo demagogia.
Contentissimo di non avergli dato un centesimo. Mi spaventano le sue battute del tipo Se mi candidassi prenderei più voti di Berlusconi e Prodi messi insieme. E' un attimo passare da guerriero a demagogo.
Beppe sì, Beppe no. Ma soprattutto anche no.
Update delle 12.37
Marco Cavicchioli scrive, qualche minuto dopo di me, un lungo articolo in cui, con maggiori competenze di me, spiega perché Grillo non mi piace più e perché deve continuare a fare il comico. Dissento sul finale patriottico e un pelo contraddittorio, ma va bene così.
Anche se Marco non mi cita, mi sento citato :-)
In un post celebra il successo della campagna Fazio Vattene finanziata dai suoi lettori e, con non poca presuzione (al guru non è sfuggito), dichiara di aver dato vita alla democrazia diretta e alla fine della delega in bianco:
E la controinformazione, la conoscenza sono il punto di partenza per la creazione di una democrazia diretta, con la partecipazione dei cittadini, con l’eliminazione della delega in bianco a qualcuno.
Ma poche ore prima che ha fatto?
Avviso per l'appello: Fazio Vattene.
La cifra necessaria è stata raggiunta e superata, nei prossimi giorni vi darò i dettagli.
In seguito alla richiesta di molti blogger, propongo di utilizzare i soldi residui e i versamenti che perverrano da ora in poi per la pubblicazione della lista dei parlamentari condannati in via definitiva.
Molti blogger? Sì? Quanti, in quale percentuale? Ecco, lui la delega vorrebbe toglierla agli altri ma nel frattempo se la prende. Io la chiamo demagogia.
Contentissimo di non avergli dato un centesimo. Mi spaventano le sue battute del tipo Se mi candidassi prenderei più voti di Berlusconi e Prodi messi insieme. E' un attimo passare da guerriero a demagogo.
Beppe sì, Beppe no. Ma soprattutto anche no.
Update delle 12.37
Marco Cavicchioli scrive, qualche minuto dopo di me, un lungo articolo in cui, con maggiori competenze di me, spiega perché Grillo non mi piace più e perché deve continuare a fare il comico. Dissento sul finale patriottico e un pelo contraddittorio, ma va bene così.
Anche se Marco non mi cita, mi sento citato :-)
06 settembre 2005
Impazzire su Lonnie Brooks.
Per ora questo. E' una fatica improba: il vecchio papà del blues, con la Strato per le mani, fa il bello e il cattivo tempo e stargli dietro non è proprio semplice (almeno per me).
Quindi, a mo' di forum e NG: se qualcuno riesce a correggere e andare avanti è benvenuto.
Lonnie Brooks, What My Body Needs, Deluxe Edition, Alligator, 1997.
b: bending (full)
po: pull off
/: slide
slight distorsion guitar
e----------------------------------------------------------
B------------13--15b--13--------15b--13------13b--13-------
G--10---10----------------14-------------14-----------14---
D--10---12-------------------------------------------------
A----------------------------------------------------------
E----------------------------------------------------------
e----------------------------------------------------------
B--15b--13-------------------------------------------------
G-----------14~~----------14b--16po--14/12------12---------
D-------------------------------------------14------14/12--
A----------------------------------------------------------
E----------------------------------------------------------
e------------------------------------------------------------
B------------13----------------------------------------------
G--14/12---------14/12----14--12-------------------13----15~~
D---------14-----------14---------14--12--10----------14-----
A--------------------------------------------12/14-----------
E------------------------------------------------------------
Quindi, a mo' di forum e NG: se qualcuno riesce a correggere e andare avanti è benvenuto.
Lonnie Brooks, What My Body Needs, Deluxe Edition, Alligator, 1997.
b: bending (full)
po: pull off
/: slide
slight distorsion guitar
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B------------13--15b--13--------15b--13------13b--13-------
G--10---10----------------14-------------14-----------14---
D--10---12-------------------------------------------------
A----------------------------------------------------------
E----------------------------------------------------------
e----------------------------------------------------------
B--15b--13-------------------------------------------------
G-----------14~~----------14b--16po--14/12------12---------
D-------------------------------------------14------14/12--
A----------------------------------------------------------
E----------------------------------------------------------
e------------------------------------------------------------
B------------13----------------------------------------------
G--14/12---------14/12----14--12-------------------13----15~~
D---------14-----------14---------14--12--10----------14-----
A--------------------------------------------12/14-----------
E------------------------------------------------------------
05 settembre 2005
Sì, viaggiare...
Gli aerei cadono, la benzina arriverà a 1 euro e 50 e sui treni ci sono le zecche.
Che facciamo, andiamo a piedi? Ma no, viaggiamo con la fantasia, come si faceva una volta.
Che facciamo, andiamo a piedi? Ma no, viaggiamo con la fantasia, come si faceva una volta.
02 settembre 2005
01 settembre 2005
Certezze.
La mia Vespa PX150 necessita una revisione periodica. Le solite cose: freni, frizione. La Vespa la tengo a Genova, non qui.
Io a Genova ho un'officina di fiducia gestita da due anziani fratelli, Andrea e Nanni; secondo me vanno per gli ottanta, ma è difficile dirlo. Uno burbero, con la voce roca, i modi spicci; l'altro paterno, una specie di nonno affettuoso. Sono bravissimi. Ci sono da sempre. Almeno da quarant'anni, credo.
Così quando la Vespa va riparata chiamo i fratelli Costa. Ogni volta, come in un piccolo rito che si rinnova, spiego che posso passare solo il sabato perché vengo da fuori. E ogni volta Andrea o Nanni mi risponde:
"La ditta Costa è aperta dal lunedì al sabato dalle 7 e mezza del mattino alle 7 e mezza di sera".
Il resto lo conosco già. Porterò la Vespa verso le 9. Mi sgrideranno dicendo che "La ditta Costa è aperta dal lunedì al sabato dalle 7 e mezza del mattino alle 7 e mezza di sera". Andrò a riprendere la Vespa in serata. Ma prima di riaverla, dovrò passare in rassegna e toccare con mano tutti i pezzi sostituiti. Non c'è scampo: so che dovrò accarezzare candele, dischi della frizione, filtri dell'aria, guarnizioni, tutti ugualmente sporchi. Solo dopo una accurata visita a questa galleria di trofei potrò pagare, salutare, riaprire il rubinetto della benzina (che loro chiudono) e andare via, con la mia Vespa quasi nuova.
E' bello sapere che qualcosa funziona da sempre allo stesso modo.
Io a Genova ho un'officina di fiducia gestita da due anziani fratelli, Andrea e Nanni; secondo me vanno per gli ottanta, ma è difficile dirlo. Uno burbero, con la voce roca, i modi spicci; l'altro paterno, una specie di nonno affettuoso. Sono bravissimi. Ci sono da sempre. Almeno da quarant'anni, credo.
Così quando la Vespa va riparata chiamo i fratelli Costa. Ogni volta, come in un piccolo rito che si rinnova, spiego che posso passare solo il sabato perché vengo da fuori. E ogni volta Andrea o Nanni mi risponde:
"La ditta Costa è aperta dal lunedì al sabato dalle 7 e mezza del mattino alle 7 e mezza di sera".
Il resto lo conosco già. Porterò la Vespa verso le 9. Mi sgrideranno dicendo che "La ditta Costa è aperta dal lunedì al sabato dalle 7 e mezza del mattino alle 7 e mezza di sera". Andrò a riprendere la Vespa in serata. Ma prima di riaverla, dovrò passare in rassegna e toccare con mano tutti i pezzi sostituiti. Non c'è scampo: so che dovrò accarezzare candele, dischi della frizione, filtri dell'aria, guarnizioni, tutti ugualmente sporchi. Solo dopo una accurata visita a questa galleria di trofei potrò pagare, salutare, riaprire il rubinetto della benzina (che loro chiudono) e andare via, con la mia Vespa quasi nuova.
E' bello sapere che qualcosa funziona da sempre allo stesso modo.
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