Non c'è da nulla da fare. Non posso smettere di lavorare, prendere l'autobus o fare la spesa nei supermercati perché dentro percepisco forte la paura che il tipo accanto a me con un grosso zaino sullo spalle stia per farsi esplodere.
Venerdì sera ero sulla linea rossa del Tube londinese. Poco prima di Holborn una voce ha annunciato che era stata rilevata una minaccia di pericolo nella stazione successiva e che il treno si sarebbe fermato fino a nuovo ordine. Nessuno è sceso.
Ho pensato: "Se scendo e vado a piedi, non arriverò in tempo a Stansted e perderò l'aereo. Se rimango, quante probabilità ci sono di festeggiare i miei trent'anni nella morgue di qualche ospedale inglese, con tre tecnici di laboratorio impegnati a riscostruire pezzo per pezzo il mio cadavere?"
Sono rimasto. Il treno è ripartito. Poi si è arrestato nuovamente. Infine è ripartito e mi ha portato a Liverpool Street. Altre incertezze: ci sarà una bomba nascosta sullo Stansted Express delle 5? Sarà salito un terrorista sul volo Ryanair che sto pe prendere?
Negli anni '50 era la minaccia atomica a tenere la gente col fiato sospeso. Nei '70, la lotta armata. Io quelle paure non le ho vissute in prima persona. Quando, all'inizio degli '80 le strutture eversive sembrarono smantellate, io andavo sereno alle elementari. Oggi devo imparare a convivere con nuove minacce, nuove paure e, conseguentemente, un diminuito livello di sicurezza percepita, aggravato dalle mie abitudini: viaggio, mi sposto in treno, in aereo, in auto. Se vivessi in un villaggio di campagna e lavorassi la terra, mi esporrei a meno rischi. Ma non è così -- viaggio più della media delle persone e faccio la spesa alla Auchan anche se tante volte ho sentito dire che gli ipermercati dell'hinterland torinese sarebbero obiettivi sensibili -- quindi mi espongo a un numero considerevole di rischi.
Che cosa succederà? Non c'è modo di predirlo né c'è modo di prevenire fatti spiacevoli. Questo, per me piccola pedina, è solo il tempo di sperare.