È un venerdì sera di un venerdì pomeriggio passato in coda sulla A10. Sono a Genova, stanco da far schifo, in un pub che frequentavo quando ero adoloscente. C'è poca luce e molto rumore.
A qualche metro vedo una sagoma familiare. Il mio amico Andrea. Anni passati insieme alla Casa dello studente di Via Asiago. Chi è di Genova, sa cosa intendo. Lui è un tipo in gamba. Ormai lo incontro, per caso, nei vicoli, a cadenza biennale. La colpa è di Torino, mica nostra.
Cerco di attirare la sua attenzione. Lui mi scorge, mi viene incontro, ci abbracciamo con spontaneità. Per tre volte mi ripete, allegro, quasi stupito: "Ti trovo bene, ti trovo in forma!"
Anche lui è ok, un po' rosso per l'alcol, ma è uno splendore. Gli chiedo se continua a spennare polli e mi risponde: "Sì, è la mia vita!"
"Io ti ricordo così riflessivo", mi dice, "ma anche così... così... è come se il tuo essere riflessivo ti assorbisse anche il fisico. Ora ti trovo bene."
Un incontro che ha avuto la bellezza di una poesia, breve, pulita, ben fatta. Come una camera d'albergo: più piccola è e più pulita deve essere, quando hai finito (Questa frase, però, è di Jim Carroll).