Per me, quasi trentenne perennemente alle prese con dilemmi, decisioni, speranze e realtà, ogni uscita di
Fabio Volo (che parla in
radio, scrive, recita, canta, e tutto molto bene) ha un sapore un po' oracolare, perché vi ritrovo le stesse paure e le stesse speranze che vivo quando mi interrogo, orologio alla mano, sul cosa voglio fare da grande, sulle mie aspetattive, sulle mie speranze.
Il suo nuovo film,
La febbre, sembra completare la trilogia ideale di
Casomai e di
È una vita che ti aspetto: è un film ben fatto, con pochissime cadute di stile, fa ridere, pensare e su qualche scena memorabile (il pugno del fratello) rischia di strappare una lacrima sincera.
Al geometra Mario Bettini, uno che visto da fuori sembra avere già tutto, manca qualcosa: creare qualcosa che sia tutto suo. E qui nascono i primi dubbi: cercare la quiete di una vita tranquilla e del posto fisso o vivere rincorrendo il proprio sogno, anche a costo di qualche sacrificio e incomprensione?
Schiacciato dalle figure della madre protettiva e del padre defunto (commovente l'incontro nell'aldilà, con atmosfere da
Le stelle fredde di Piovene), Mario va per la propria strada, rischiando di perdere parenti e amici che non condividono la sua scelta. È questa la febbre che agita Mario: mettercela tutta per vedere realizzate le proprie speranze. Ma alla fine (il lieto fine), avrà accanto gli amici veri, la donna che ama, il lavoro che vuole.
Non è all'altezza la divagazione morale sul mobbing e il pubblico impiego, ma alza il tono Arnoldo Foà che impersona l'anziano Presidente della Repubblica e sprona Mario a perseverare nel rincorrere un sogno.
Poetico, delicato, solo raramente insincero:
La febbre mi ha convinto non solo nelle intenzioni ma anche nei risultati: per qualche istante mi ha fatto sognare ad occhi aperti.
Oggi è lunedì, un giorno illuminato dai neon prima che dal sole.