Sulla strada di mattoni gialli si tengono compagnia una bambina senza casa, uno spaventapasseri senza cervello, un boscaiolo di stagno senza cuore e un leone senza coraggio, accomunati dalla speranza di ottenere le tessere mancanti del proprio mosaico esistenziale dal misterioso e onnipotente
Mago di Oz. La storia la sappiamo tutti.
Eppure è raro mettersi in gioco e intraprendere il lungo cammino verso Oz. Io stesso, sovente, preferisco la mia vita randagia (
Dorothy), fatta di scelte sbagliate (
spaventapasseri), crudeltà (
boscaiolo) e atti meschini (
leone). Sono in buona compagnia, ci mancherebbe.
Ogni tanto, però, mi indigno, mi scontro con la quotidianità, con la disattenzione, quella mia e quella degli altri. E penso che almeno uno degli aspetti della vita adulta - lontana dall'incosciente entusiasmo idealista dei vent'anni - sia proprio questo, la disattenzione.
Per gioco, si possono rappresentare i rapporti amicali dell'età adulta con un sistema di assi cartesiani il cui risultato (che chiamo
La curva di Oz) spiega come, laddove non esista il
dolo intenzionale, cioè la deliberata intenzione di arrecare alle persone amiche dolore col proprio comportamento, si instaurino meccanismi di progressiva
diminuzione dell'attenzione (non delle attenzioni) nei confronti dell'altro.
Tra le paradossali conseguenze delle modernità esiste, accanto all'ossessione di avere
tutto (beni
materiali), una superficiale supponenza dell'avere già
tutto (beni
immateriali) per cui non è rara la tendenza a dare per scontati l'
intensità e l'
esito delle proprie azioni
eterodirette (il boscaiolo che vuole un cuore per amare gli altri e lo spaventapasseri che vuole un cervello per comprendere il mondo fuori da sé) mentre è grande l'attenzione alle azioni in qualche modo
autodirette, edoniste, legate al soddisfacimento delle proprie esigenze immediate e alla sopravvivenza (Dorothy che cerca la propria casa, il leone che vuole in dono il coraggio).
La strada di Oz è poco frequentata e anche i protagonisti della fiaba, nella consapevolezza della propria incompletezza e nella conseguente tensione al miglioramento di sé (per altro con differenti motivazioni), incontrano ben pochi passanti.
La mia percezione, per quanto poco scientifico ci sia nei sensi, è che la strada per Oz divenga col passare degli anni sempre più una via secondaria e che, al contempo, la curva del grafico tenda ad appiattirsi in modo incontrovertibile sull'asse delle ascisse.
Il mago di Oz ci insegna anche altro: il disattento, sebbene non doloso, non è innocente ma complice, in quanto consciamente abdica di fronte al dovere di completare la parte deficitaria del proprio sé, e persevera nel negare al prossimo l'attenzione che dirige verso il completamento ossessivo di collezioni di beni materiali e piaceri del proprio corpo.
Come in molti racconti, si salva il
cane: istintivo tanto nella sopravvivenza di sé quanto nella strenua difesa del proprio padrone, non ha autocoscienza ma ha cuore, cervello e coraggio e, privo di molti dei
basic needs tipicamente umani, chiama casa ogni giaciglio che gli consenta un riposo adeguato.
L'
happy end è necessario in un mondo che ha necessità di favole. E infatti è una favola e non una cronaca. Il mondo cosiddetto occidentale proseguirà nel proprio necessario, disattento ed autodiretto cammino verso l'ignoto. Io ne faccio parte né mi distinguo per particolari doti di abnegazione. Tutt'altro.
Ma questa strada, lastricata di mattoni gialli, ora l'ho intravista. Devo solo chiedermi: "
che cosa mi manca?" e posarvi un passo alla volta.
Non sarà necessario raggiungere la Città degli Smeraldi: il Mago di Oz con il suo Regno meraviglioso, semplicemente, sta nel dedicare un po' più di
attenzione al prossimo, e tentare di correggere anche di poco l'andamento della curva di Oz.