Nando Dalla Chiesa è un professore e come tutti i professori che scrivono libri non riesce ad esimersi dal:
1. sfoggiare una non comune cultura e un eloquio cattedratico;
2. trasformare la bibliografia nella consueta gara a "chi ha letto di più" (il lettore può chiedersi se le opere di Shakespeare sono pertinenti ad un saggio su un presidente emerito della Repubblica).
Fine della premessa e delle critiche. Perché "Lo statista" è un saggio di sicuro interesse e una lettura appassionante. E' un libro -- ed è forse la qualità che apprezzo maggiormente -- di parte, nel senso che prende coraggiosamente (e con veemenza) una posizione ben chiara. Contro chi? Con poco spirito di corpo (l'autore è anche giornalista), il bersaglio principale di qesto saggio sono i giornalisti, la stampa, i mezzi di comunicazione, gli opinionisti che per decenni hanno sempre guardato con immeritata indulgenza e complicità cameratesca alla serie di atti e comportamenti ben poco istituzionali che Francesco Cossiga ha agito nella sua lunga carriera politica (parlamentare, sottosegretario, ministro, presidente della repubblica, senatore).
Per il mio diciassettesimo compleanno ricevetti un regalo che per me rappresentò una parte importante della mia formazione politica:
La vendetta di Disegni e Caviglia, un libro che raccoglieva le strisce pubblicate su Cuore e Satyricon. Erano i primissimi e, inutile dirlo, le esternazioni di Cossiga trovavano ampio spazio nei mezzi di comunicazione; ma devo dire che se già allora giornali e tv mi sembravano scarsamente critici nei confronti di un presidente che, tra l'altro, era appena diventato protagonista del caso Gladio (un'iniziativa che di costituzionale ha ben poco); e trovavo invece nelle strisce di Disegni e Caviglia quella lucida cattiveria e quel richiamo alla ragione e alla coscienza che non trovavano spazio nelle pagine dei quotidiani. Nelle vignette, Cossiga era sempre rappresentato come un matto, ossessionato dalle cose militari (intento a giocare con i soldatini), dagli autonomi e dalla magistratura, e assistito amorevolmente da due corazzieri-badanti che lo inseguivano nei giardini del Quirinale.
Ecco, leggendo "Lo statista", mi sono tornate in mente quelle strisce che avevo imparato a memoria, quella rara testimonianza di quanto l'autore Nando Dalla Chiesa raccoglie meticolosamente nel suo libro, rammentando al lettore, pagina dopo pagina, i misfatti di questo politico che ha vissuto benissimo tanto nella Prima e quanto nella Seconda Repubblica, arrivando a ricoprire la carica più alta dello stato e tessendo al contempo alcune delle trame più anti istituzionali della nostra storia (gli attacchi alla magistratura, il ruolo nella struttura Gladio, le esternazioni opache sulla stagione delle stragi, le posizioni discutibili durante il rapimento di Moro, il ricorso al torpiloquio e alla stigmatizzazione degli avversari).
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Non mi mancherà", scrisse l'autore alla
morte di Cossiga. Una frase che mi piace e forse l'unica (una delle poche) fuori dal consueto coro che si era levato all'indomani della scomparsa dell'ex preseidente: rammento che nelle pagine dei quotidiani e ai TG fu un rincorresrsi di ricordi (veri o presunti) da parte di amici (veri o presunti) e conoscenti, un cordoglio nostalgico, una nuvola d'incenso che spazzava via il puzzo di zolfo.
Non sarà stato Belezebù, quello è il ruolo del divo Giulio; ma non era un santo né un eroe. Eppure, per decenni, è stato in grado di strappare occhiate ammiccanti e sorrisi di compiacimento al nostro debole quarto potere, un complice, democratico pubblico plaudente.