Il figlio di Cesare Previti, un ragazzino di 17 anni, gioca a calcio, e pare benino, nella Primavera della Lazio. Ovviamente, non manca il commento politically correct a favore del giovane portiere: il suo è un cognome che pesa.
Vabbe', lasciamo perdere Previti junior, che se poi non prende una palla, non è che suo padre può farci molto (ma non era in carcere o ai domiciliari? mah).
Tutte le volte che qualche figlio d'arte o comunque figlio di qualcuno si cimenta in un'attività, i commentatori non mancano mai sottolineare che ha un cognome ingombrante, raccoglie un'eredità difficile, come se fosse un handicap, un impedimento, un marchio di disonore, un ostacolo che ha reso il cammino artistico o professionale ancora più impervio. E che, certo, nessuno ha raccomandato nessuno.
Ma per cortesia.
Prima o poi mi piacerebbe leggere, in occasione di un libro scritto dal figlio di uno scrittore o di un film girato dal figlio di un regista (gli esempi possono continuare) che in fondo, sì, è stato solo per la sfacciata fortuna di nascere proprio in quella famiglia, e questo alla faccia dei tanti figli di nessuno che continueranno a sgomitare, fare anticamera, dormire quattro ore a notte senza ottenere un decimo di quello che il solito figlio di qualcuno ottiene facendo fare un paio di telefonate.
Mi va benissimo. E' sempre stato così. Ma almeno la si smettesse di scrivere certe vaccate in nome del politically correct.
4 commenti:
E' un po' come quando si sente dire "questa legge avvantaggia i più ricchi": può non piacere, ma "i più ricchi" sono GIA' avvantaggiati, per il semplice fatto che sono ricchi.
Anch'io mi sono detto "quant'è fortunato Trevor Lukather (figlio di Steve, chitarrista dei Toto) a voler fare il chitarrista", e gli auguro di avere un talento paragonabile a quello del padre. Sicuramente ha avuto la strada spianata (nella fattispecie un'autostrada personale a 28 corsie che fa tre giri del mondo), in ogni caso potrebbe già vivere di rendita; inoltre pensa la gioia di suo padre per il fatto che il figlio ha "raccolto il testimone" del suo patrimonio musicale (e non solo di quello economico). Dal suo punto di vista mi verrebbe spontaneo pensare: "mi son fatto il mazzo tanto per diventare Steve Lukather, e volete che adesso che posso non dia una mano a mio figlio?".
Secondo me è una questione di proporzioni: trovo che la "gavetta" per diventare qualcuno sia doveroso e salutare farsela almeno un po'; sarebbe anche bello e civile che la gente approfittasse in modo sensato e misurato delle facilitazioni date dai papà, ma si sa come è la gente. E così innumerevoli persone in gamba, nonostante la gavetta, non ottengono uno straccio di riconoscimento, e innumerevoli cialtroni, per il solo fatto di essere "figli di", viaggiano alla grande e applauditi dai più; in effetti (opinione personale) se i figli di certi nostri cantanti (non tutti in verità) non si occupassero di musica ...
Forse ciò che fa davvero girare i cosiddetti è questa estremizzazione, questo delirio di onnipotenza, per cui non basta spianare tutte le strade ai propri pargoli anche se non hanno un grammo del talento paterno o materno: bisogna anche che non si dica "bella forza, è figlio di...", per cui (ne sono convinto) via a pagare qualcuno che scriva del "cognome ingombrante" etc.
Ecco un esempio concreto di cognome ingombrante: io di cognome faccio Beghelli e dei signori "salvalavita" non sono parente manco alla lontana, ma ogni maledetta volta che telefono dall'ufficio la gente a tutta prima è convinta di parlare con "quello delle lampade"! E' proprio vero, il potere logora chi non ce l'ha!
Ciao
sì, il potere logora chi non ce l'ha. in effetti rosico molto di essere figlio di nessuno e parente di nessun altro, in un ambiente dove, anno dopo anno, mi accorgo che un papà o un parente servirebbe proprio :-)
a proposito, non è che mi fai avere lo sconto su qualche lampada?
:-))
Non hai saputo resistere, eh?
L'unico modo sarebbe farmi assumere da un negozio del settore di Settimo Torinese, ma tu poi dovresti essere un buon cliente!
:-)))))))))))))))))))))))))
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