06 settembre 2007

Sabani ovvero La sfiga di morire quando muore Pavarotti.

Con le dovute rispettose e sincere condoglianze alla famiglia del compianto Big Luciano, che forse non ha pagato proprio tutte le tasse ma è stata la migliore Italia che potessimo presentare all'estero, vorrei spendere due parole per un altro compiantissimo, il grande Gigi Sabani (ancora vivo secondo il suo sito, meno secondo la cronaca).
Gigi mi faceva ridere quando ero bambino e mi ha fatto sentire solidale a lui quando nel '95 una pischella ha cercato di fregarlo. Quando è tornato in TV a testa alta (va beh, qualche televendita, Mike Bongiorno ha 110 anni e continua a farle) sono stato fiero di lui. Perché era chiaro che la velina letterina scemina di allora (Raffaella Zardo, non proprio uno stinco di santo) voleva solo le luci della ribalta sulla pellaccia abbronzata di Gigi. Un quarto d'ora di celebrità che a Sabani costarono due settimane di gabbio, in un Paese dove l'impunità è praticamente certa.
Certi sketch, certe imitazioni, le sue conduzioni televisive, sempre garbate e colte (Gigi era laureato, mica quel borgataro di Mammuccari), lo rendevano unico e gradevole. Sapeva trattare gli ospiti e i telespettatori, eppure alla prima vocetta stridula lo hanno preso a calci nel sedere e pubblicamente sputtanato.
Un uomo sfortunato, quindi. E anche per morire, ha scelto un momento in cui i riflettori si sarebbero spostati subito sull'asse Modena-Montecarlo (per poi tornare a Garlasco o diosadove). Se ne è andato quasi nel silenzio, senza tanti commenti e coccodrilli.
Oggi si piangono i do di petto di Lucianone (e ci mancherebbe), ma a me scorrono in mente i pomeriggi di Ok, il prezzo è giusto a Cologno Monzese più che le serate dei 3 tenors a New York.
Con Gigi se ne va uno degli ultimi protagonisti di una TV dai toni pacati, dai modi gentili, forse l'ultimo esempio di una romanità ilare e mai sboccata.
Ciao, Gigi.

1 commento:

Anonimo ha detto...

GLI EDITORIALI DI ANTONELLO DE PIERRO DIRETTORE DI ITALYMEDIA.IT

Ciao Gigi, amico mio
di Antonello De Pierro

La notizia mi è piovuta addosso improvvisa, gelida, sferzante, sconvolgente, mentre canonicamente mi accingevo ad infilarmi nella consuetudine quotidiana. Gigi Sabani, uno dei miei migliori amici nell’ambiente dello spettacolo, una delle persone che consideravo a me più care e più degne di stima, non c’era più. Un infarto aveva stroncato inesorabilmente la sua esistenza. Da quel momento un dolore immenso, intensamente soffocante, mi attanaglia, pervade ogni angolo di me. Il mio pensiero vola sui viali della memoria e si aggrappa ai tanti ricordi che scorrono veloci, fotogrammi un po’ sbiaditi, ma pregni di sensazioni, di emozioni, che emergono ad uno ad uno dallo scrigno del passato, mentre qualche lacrima sfugge ribelle al controllo delle palpebre e scivola via lungo le gote, e insieme tra le labbra si accende un piccolo sorriso che si spegne subito agli angoli della bocca. Infatti non si può ricordare Gigi senza sorridere, senza essere orgogliosi di aver avuto il privilegio della sua straordinaria amicizia. E proprio nel valore dell’amicizia egli credeva ciecamente, ed è proprio su questo terreno che si è consumata la parte più triste della sua esistenza, tradito da quanti considerava sacralmente vicini, e che non hanno esitato a voltargli le spalle, a relegarlo ai margini dei loro affetti, nel suo momento più arduo. Era all’apice del suo successo, edificato su una solida piattaforma di talento artistico e nutrito al banco di una correttezza professionale senza eguali, quando precipitò improvvisamente nelle grinfie della malagiustizia, con un copione che nell’italico sistema giudiziario, e non solo, si era visto già tante volte, con una esorbitante e cinica campagna mediatica atta a demolire spietatamente la sua immagine pubblica, tranne poi relegarlo nella marginalità di qualche sperduto trafiletto a caratteri invisibili, una volta penalmente ritenuto estraneo ai fatti e pienamente riabilitato. C’è chi negli ultimi tempi ha generato vergognosamente un business da una disavventura giudiziaria, tra l’altro con contorni non ancora definiti. Ma Gigi no. Si chiuse nel suo silenzio garbato, senza esternare mai pubblicamente il suo stato d’animo, senza mai rilasciare dichiarazioni pubbliche di protesta. Ha subito con compostezza il montare delle accuse infamanti, incredulo e deluso dalla macchina della giustizia che avanzava incessante, marciando con i cingoli sulla sua dignità, sul suo animo sensibile, riducendoli a puro sussurro. Interiormente la delusione iniziava la sua opera demolitrice, scavava e distruggeva le sue certezze, infieriva e lacerava il tessuto della sua essenza, affilando paradossalmente le lame ai suoi valori granitici, lasciando ferite che non si sono più cicatrizzate. Ma la cosa che più l’aveva annientato era stato il tradimento di alcuni suoi “amici”, che improvvisamente gli avevano girato le spalle, l’avevano messo da parte, e il suo percorso professionale, fluido e scorrevole fino a quel momento, si era incagliato repentinamente sugli scogli della doppiezza e del voltafaccia. Gigi ha continuato a sorridere a tutti, con quella cordialità e gentilezza ben radicate nel suo patrimonio genetico, ma dentro purtroppo era molto provato, la sua sofferenza era immane, troppo sensibile per sopportare un così duro colpo alle sue corde emozionali. Qualcuno aveva cercato di recuperare terreno sulla diffidenza mostrata, tendendogli la mano in ritardo per lavarsi la coscienza, altri invece hanno approfittato dell’occasione per eliminare un valido concorrente, per sé o per i loro protetti, continuando ad ignorarlo e a boicottarlo. Perché Gigi era bravo e professionale nel suo lavoro, un’artista di altri tempi, appartenente ad una generazione i cui fondamenti sono una perla rara nelle nuove leve incalzanti, nell’era del “Grande Fratello” e della tv trash, ed in effetti faceva paura, molto più comodo tenerlo in un angolo, e gettare sul tavolo delle proposte carte scadenti, ma ben nutrite e sospinte da ventate clientelari e solide entrature nei palazzi del potere. Ed egli era troppo orgoglioso e troppo corretto per gareggiare sulla pista dei compromessi, non aveva mai sgomitato o pestato i piedi ad alcuno. Spesso mi ripeteva (ora si può affermare senza nuocergli) con fierezza, ma palesemente provato: ”Non vado a cercarmi il lavoro, se nel palazzo mi vogliono sanno dove trovarmi”. Ma erano pochi quelli che nel palazzo, anzi nei palazzi, facevano il tifo per lui, i facili costumi avevano preso il sopravvento, il talento non serviva più, era l’era di “vallettopoli” o meglio di “marchettopoli”. Forse da un lato è stato meglio così, il suo nome limpido e cristallino, non poteva sporcarsi nel trionfo immorale degli ultimi sistemi di reclutamento, questa televisione non gli apparteneva più. Sulla sua morte, ne sono certo, tutte queste vicende hanno influito non poco, ma dissentendo da chi ha affermato che il tutto porta una sola firma, è con tristezza e rabbia che devo affermare che le firme invece sono state tante, soprattutto quelle di chi non gli ha dato fiducia nei momenti più tragici, di chi lo ha emarginato, e in particolar modo di chi ha messo in atto uno spudorato sciacallaggio mediatico nei suoi confronti, di quei colleghi che spesso e volentieri antepongono ai valori e al rispetto la sensazionalità della notizia, consumando un cinico sacrificio sull’altare degli interessi. E’ con orgoglio e commozione che posso oggi affermare di avergli teso sempre la mano, soprattutto nel frangente più doloroso, anche se all’epoca la mia voce mediatica era molto flebile. Ciò nonostante sentivo da parte sua un atteggiamento affettuoso, coltivato nel fertile giardino della riconoscenza, altro sacro valore inossidabile che Gigi affiancava e custodiva geloso al fianco di quello dell’amicizia. La sua riconoscenza l’ho sentita tutta nel nostro ultimo incontro, a Roma nei pressi di viale Mazzini poco più di un mese fa, quando salutandomi mi disse: “Ti voglio bene!”, le sue ultime parole che conserverò geloso nel mio archivio mnemonico. Ora è difficile fare i conti con la dura realtà che ci ha resi orfani della sua presenza, non è facile credere alla veridicità del tragico e prematuro evento che l’ha sottratto al presente e ci fa sentire senz’altro più soli, ma tutti gli attestati di affetto esplosi dopo la sua morte ci martellano la consapevolezza che il pubblico non l’aveva mai abbandonato, e Gigi ne sarebbe felice, perché aldilà di ogni gioco di potere, un artista finisce quando non piace più agli spettatori, e da questo punto di vista egli era ed è più vivo che mai, e resterà immortale nelle immagini che nella sua gloriosa carriera ha regalato alla storia televisiva italiana, scrivendone le pagine più belle. Ciao Gigi.